P. SILVIO MARIA GIRAUD
MISSIONARIO DELLA SALETTE
SACERDOTE E OSTIA
CAPITOLO VENTIDUESIMO. Il sacrificio di nostro signor Gesù cristo sull’altare eucaristico, nella chiesa militante
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Quando Nostro Signore offrì, per la prima volta, il Sacrificio Eucaristico, nella sera del Giovedì Santo, anticipò in pari tempo il Sacrificio della Croce e quello del Cielo. Il suo stato esterno d’immolazione mistica e il suo stato interiore di Vittima glorificata rappresentavano in anticipazione il Mistero del Calvario e quello dell’Eternità. La prima Messa che fu celebrata dopo l’Ascensione, probabilmente nel giorno stesso delle Pentecoste (184), e tutte le Messe che abbiamo la fortuna di celebrare, sono il medesimo Sacrificio del Calvario e del Cielo.
Poiché il Sacrificio eucaristico viene offerto nella Chiesa militante e per la Chiesa militante, in qual modo essa vi concorre? In qual modo questo Sacrificio, in un senso verissimo, viene offerto da lei medesima, benché Nostro Signore ne rimanga necessariamente l’unico Sacerdote e l’unica Ostia?
Tre cose sono da considerare: la Materia, il Ministro e il Sacrificio stesso. La Chiesa ha in questi tre punti una parte importante.
La materia del Sacrificio, che è il pane e il vino, viene presentata e offerta dalla Chiesa medesima, nella persona dei suoi Sacerdoti. Ecco una prima oblazione degna di grande considerazione e veramente santa; essa forma già l’onore della Chiesa. Il pane e il vino, mentre vengono offerti, non sono considerati in se medesimi, poiché dopo il Sacrificio della Croce, Dio non accetta più in Sacrificio, come nell’Antico Testamento, delle creature inanimate. La Chiesa offre quel pane e quel vino, espressamente e direttamente perché siano cambiati nel corpo e nel sangue di GESÙ CRISTO. Per questo, prima ancora della consacrazione, il Sacerdote dice: «Ricevete, o Padre Santo, Dio onnipotente ed eterno, questa Ostia immacolata, che io; vostro servo indégno, offro a Voi, mio Dio vivo e vero».
Il medesimo pensiero ritorna frequentemente nelle Segrete, che si recitano prima della consacrazione.
La Chiesa deputa il Ministro per un tale atto tutto divino che, in una preghiera familiare ai sacerdoti, porta il nome di confezione del Corpo e del sangue di GESÙ CRISTO (185). E questa commissione è talmente opera, della Chiesa, che i santi Padri non han dubitato di dire, che quando il Sacerdote ascende all’altare, vi porta con sé l’intera società dei fedeli (186).
Una volta delegato il Sacerdote, la parte e il concorso della Chiesa nel Sacrificio consistono nell’atto sacerdotale e ministeriale che è la consacrazione stessa. Compiuto questo atto, il Sacrificio è terminato. Sappiamo, infatti, che l’offerta del Sacrificio non è opera né del ministro, né della Chiesa per mezzo del ministro. GESÙ, solo Sacerdote del Padre, solo ha autorità sopra l’Ostia, e solo può farne l’oblazione. Ma, siccome per mezzo della Chiesa e della parola sacramentale del suo Sacerdote, e soltanto per mezzo di questa parola, il Sommo Sacerdote scende dal cielo e si rende presente sull’altare per esservi in istato di Vittima e compierne gli atti; è giusto dire che il Sacrificio, che viene offerto, è davvero il Sacrificio della Chiesa, il Sacrificio ch’essa può considerare come appartenente in proprio a se medesima, tanto il suo concorso è immediato, efficace ed anche necessario. La Chiesa può presentarlo al Padre, come se Nostro Signore, il quale ha solo il diritto di offrirlo, volesse simultaneamente essere offerto e da se medesimo e dalla Chiesa (187).
È proprio questo l’onore sublime e la magnifica gloria di questa Sposa diletta. Ecco ora lo stato dell’Ostia adorabile ch’ella porta nelle sue mani verginali
In quell’istante misterioso in cui sono pronunciate le parole della consacrazione, GESÙ si rende presente, presente nella sua qualità di Sacerdote come è in Cielo e come era sulla Croce; e offre se stesso. Egli si offre nel medesimo stato in cui travasi in Cielo e non già in quello stato in cui compariva sulla Croce. Il Sacrificio della Chiesa militante è il Sacrificio di GESÙ quale sta nella gloria, impassibile e «coronato di gloria» come dice san Paolo. Non v’è, in realtà, nessuna differenza tra lo stato della Vittima dei nostri altari e lo stato di questa medesima adorabile Vittima in mezzo ai Santi. È la stessa beatitudine, la stessa onnipotenza, la stessa maestà. Sono pure gli stessi atti ch’essa compie: adorazione, lode, azione di grazie, supplicazione, propiziazione. – Quanto è commovente poter pensare e dire tali cose, noi creature peccatrici, in questo esilio! – Ma, quegli atti di GESÙ, in favore della Chiesa la quale per mezzo del suo ministro lo ha reso presente sull’altare, operano su la terra gli effetti che si addicono alle necessità e ai bisogni di questa Chiesa. Ahimè! essa vive nella lotta, nella prova; non possiede ancora, in tutta la sua perfezione, «quella santità e purezza» che il suo celeste Sposo vuol vedere in essa; un numero sgraziatamente troppo grande dei suoi membri ne disadornano la bellezza. Essa ha quindi bisogno di grazie, che non sono più necessarie agli Eletti perché essi han ricevuto tutto l’effetto delle soddisfazioni e dei meriti della Croce. La Chiesa della terra invece non ha ancora l’universale e intera dotazione di tale celeste benedizione; perciò, nel suo sacrificio ne fa domanda con sollecitudine per mezzo di GESÙ e in GESÙ, Vittima di propiziazione; o meglio, GESÙ medesimo la domanda a favore di lei; e l’ottiene con quell’abbondanza e quell’efficacia che sono determinate dalla misericordia e dalla sapienza del Padre.
Ma perché questa Vittima divina, nella supplicazione che rivolge al Padre, o con la propizi azione che gli offre, ormai non aggiunge più nulla ai propri meriti, né in cielo, né sull’altare della terra; la Chiesa dalle soddisfazioni e dai meriti del Sacrificio della Croce prende in prestito – se pur si può dir così – la virtù d’impetrazione e di espiazione di quella Religione che GESÙ esercita in cielo e nella santa Messa.
Ogni virtù infatti, viene dal Calvario, e non può venire che da questa divina fonte, quando pure un Dio interceda, preghi e solleciti.
Per questo si dice comunemente – ed è questo il linguaggio della fede – che il Sacrificio del Calvario tutto ha meritato, ma non applica nulla. Il Sacrificio dell’Altare eucaristico non merita più nulla, ma applica tutto quanto è stato meritato sulla Croce. Queste parole, per altro, non sono che il commento di queste altre di san Paolo: «Una oblatione consummavit in sempiternum sanctificatos» (Eb 10, 14). Così ci appare, in una ammirabile unità, l’opera della nostra Redenzione, mediante il Sacrificio. Perché questa parola: una oblatione, va intesa in modo assoluto, poiché il Sacrificio di Nostro Signore GESÙ CRISTO, sul Calvario, in Cielo, sull’Altare, rimane sostanzialmente indivisibile e essenzialmente uno. Venne offerto sul Calvario con spargimento di sangue, ed è continuato in Cielo e sulla terra senza spargimento di sangue.
Ed è di proposito che diciamo: viene continuato, e non già reiterato, perché quest’ultimo termine potrebbe dare a credere che il Sacrificio viene ripetuto varie volte; questo sarebbe come dire che il sacrificio della Croce sia stato insufficiente e imperfetto come i sacrifici così numerosi dell’antica Legge.
Viene continuato sul nostro Altare, ma con intermittenza e successione, perché, in ragione delle condizioni di tempo nelle quali trovasi la Chiesa militante, è naturale vi sia intervallo tra una messa e l’altra. E parimenti, viene continuato in Cielo; ma lassù, in quel Tempio che è il seno del Padre, su quell’Altare che è la Persona stessa del Verbo, non v’è né intermittenza né successione, ma permanenza indefettibile ed eterna.
O Dio! Quanto è grande e dolce a contemplarsi il Mistero dell’unità del Sacrificio!
Ma se lo stato della Vittima è lo stato medesimo del Cielo, crediamo che non sia temerario aggiungere una riflessione in apparenza singolare. Se dalla parola del Sacerdote la vittima è prodotta nel medesimo stato in cui essa si trova in Cielo, vale a dire, nel seno del Padre, non dobbiamo noi concludere che, per un mistero mille volte incomprensibile e ineffabile, il sacerdote cattolico consacra nel seno medesimo del Padre? Ci sembra questa una conclusione logica. Infinitamente dunque più onorati che il Sommo Sacerdote della Legge antica, noi, sacerdoti, ogni giorno penetriamo in quel Santo dei Santi vero e unico, per produrvi GESÙ CRISTO, Verbo e Ostia del Padre; perché là, e là soltanto, come nel Santuario solo degno di Lui e del suo Sacerdozio, il nostro Sacerdote eterno ha stabilito la sua residenza dopo la sua Ascensione, e quindi là soltanto Egli offre il suo Sacrificio.
Notiamo quanto dice in proposito il Padre de Condren: «Questa asserzione non deve urtar nessuno, perché il seno del Padre non è vincolato a nessun luogo; e dovunque si trovi, il Padre si trova in atto di generare il Figlio, e di generarlo nel suo proprio seno; perciò, quel seno adorabile si trova pure dovunque il Figlio è generato. Ma non si può dire reciprocamente, che GESÙ CRISTO sia sacramentalmente nel seno del Padre suo; perché sacramentalmente Egli non si trova che sotto le apparenze del pane e del vino dopo la consacrazione» (188).
Alla luce di questi pensieri, non già intravediamo la meravigliosa grandezza del Sacerdote della Chiesa militante. Perché, se GESÙ CRISTO sta sempre, e non può mancare di star sempre, nel seno del Padre; se sta in quel seno augusto onde ricevervi la sua vita, il suo essere, non soltanto come Verbo, ma pure in quanto Verbo incarnato; chi non vede che il Sacerdote, il cui ministero è reso necessario per la produzione della presenza di GESÙ sul santo altare, entra in una sorta di partecipazione alla potenza generatrice del Padre, poiché concorre così efficacemente e necessariamente a dare alla Vittima adorabile quella medesima vita ch’essa non tiene che dal Padre?
In tal modo, si può affermare che il Sacrificio della Messa, che si offre quaggiù, avviene nel Cielo. Avviene pure, in un certo censo, sul Calvario; nel senso che «si collega al Calvario con tutte le sue circostanze, poiché non solo vi si riferisce per intero, ma in realtà non sussiste che per questa, relazione». Come sulla Croce, vi è pure sull’Altare una specie di morte nello stato apparente della Vittima. «Il corpo e il sangue sono misticamente separati, perché GESÙ CRISTO ha detto separatamente: Questo è il mio corpo; questo è il mio sangue: ciò che include una viva ed efficace rappresentazione della morte violenta ch’Egli ha sofferto». E, in certo qual modo, qui vi è più ancora che la morte, vi è anche il seppellimento; in quella guisa che, sul Calvario, si vide nella sepoltura del Salvatore la consacrazione e l’accertamento pubblico del suo stato di morte. Le specie del pane e del vino, che rimangono, dànno un tal carattere al Sacrificio dell’altare. «Non capite, dice Bossuet, che quelle sacre specie sono l’involto in cui è racchiuso il corpo del vostro Salvatore, e come il panno mortuario che lo copre! Voi state davanti alla tomba dove sta il Padre vostro, che è morto, tutto trafitto di piaghe, per salvarvi».
Tale è dunque, in succinto, il grande Mistero del Sacrificio eucaristico, incomparabile tesoro, onore magnifico, gloria, gioia e vita della santa Chiesa Cattolica. Tale è «quella consacrazione, quel culto pieno di sangue, e pure incruento, come dice ancora Bossuet, dove la morte è dappertutto, e dove pure l’Ostia è vivente; vero culto dei Cristiani, sensibile e spirituale, semplice e augusto, umile e magnifico in pari tempo… Noi tutti offriamo assieme col Sacerdote; acconsentiamo a tutto ciò che fa, a tutto ciò che dice. E che cosa dice egli: «Pregate, fratelli miei, perché il mio sacrificio e il vostro siano graditi al Signore nostro Dio». E che cosa rispondete voi? «Che il Signore lo accetti dalle vostre mani!». Ma come! «Il mio sacrificio e il vostro!». E che dice ancora il Sacerdote? «Ricordatevi dei vostri servi, pei quali vi offriamo». È tutto? – Egli aggiunge ancora: «o che vi offrono questo Sacrificio». Offriamo dunque col Sacerdote; offriamo GESÙ CRISTO; offriamoci dunque noi medesimi, con l’intera sua Chiesa Cattolica, sparsa sopra la terra!» (Bossuet, Exposition., etc., n. XIV; Médit. sur l’Evangile, Cène).
NOTE
(184) V.: THÉOPHILE REYNAUD, De prima Missa, sect. I, cap. III e IV. – Benedetto XIV sembra pure adottare questa opinione. De Sacrif. Missae, lib. II, cap. XI. Cfr.: Brev. Rom. nella V lezione della feria VI, infra octavam Corpor. Dom.
(185) Ego volo celebrare Missam, et conficere corpus et sanguinem Domini, etc.
(186) Per unitatem fidei, Sacerdos Ecclesia tota est, et ejus vices agit. s. PETR. DAM., Opusc. XII.
(187) Christus… caput existens eorum qui offerunt, corpus enim suum Ecclesiam vocat, et per eam sacerdoti o fungitur ut homo recipit autem ea, quae offerentur ut Deus. THEODORET, In Psalm., CIX.
(188) Idée du Sacerdoce, etc., II partie, chap. VII