P. SILVIO MARIA GIRAUD
MISSIONARIO DELLA SALETTE
SACERDOTE E OSTIA
Adoperiamo la parola Dignità, per esprimere l’elevazione dell’Umanità di GESÙ all’Unione ipostatica, elevazione la più sublime che sia possibile (87). In questo Mistero, la Persona del Verbo non riceve nulla, né viene perfezionati in nessuna maniera; neppure essa perde nulla, ma rimane nella sua Bellezza propria, immutabile, semplicissima e assolutamente indefettibile. Non così della natura umana: essa perde, o meglio, non possiede ciò che avrebbe avuto senza tale unione, dato che avesse potuto esistere prima. Ma appunto quella privazione costituisce la sua grandezza e la sua gloria. Perché ciò di cui è priva, è la sua Personalità, vale a dire quello stato per il quale una creatura ragionevole ha il dominio sopra il suo essere naturale con l’iniziativa e il dominio dei propri atti.
Ma la dignità di un essere e degli atti suoi, sta in relazione diretta con la dignità del supposto ossia della persona che se li appropria (88). L’essere e gli atti di un animale sono essere e atti di un supposto che si chiama un animale. L’essere e gli atti di un uomo sono essere e atti di una persona umana che ha il dominio e il possesso di questo essere e di questi atti. Orbene, l’essere naturale e gli atti di iniziativa dell’Umanità di Gesù, appartengono alla Persona del Verbo, perché questa Persona adorabile li fa suoi, in un modo verissimo e assoluto. In GESÙ vi era dunque l’essere d’un Dio, il corpo e l’anima d’un Dio, gli atti e le opere d’un Dio. E quando parliamo di iniziativa da parte dell’Umanità di Gesù Cristo, non intendiamo dire che vi fosse in Lui, dapprima un principio indipendente che producesse certi atti, e che in seguito il Verbo li facesse suoi propri; questi atti, nel tempo stesso in cui venivano prodotti, erano proprietà del Verbo. Ma, tuttavia, venivano realmente prodotti, e prodotti liberamente, da una volontà e da una operazione propria della natura umana del Salvatore, poiché è verità di fede che la Umanità di Gesù era completa in tutto quanto costituisce la natura umana: volontà, libertà, operazioni proprie, distinte dalle operazioni della natura divina. Abbiamo detto che la natura umana di Nostro Signore era la natura umana d’un Dio. Questa verità richiede una spiegazione particolare; e tale spiegazione ci sarà utile per concepire come, se in Nostro Signore il Sacerdozio è così sublime, la Vittima di questo Sacerdozio sia di una perfezione eguale a tale eminente dignità e degna di essa in modo completo e adeguato.
Il possesso della natura umana da parte del Verbo è un Mistero di una sublimità altissima, che ci mostra l’Umanità di GESÙ in un grado di elevazione e di gloria che Dio salo può comprendere.
Il Verbo possiede quella Umanità creata e la unisce a se stesso, in virtù di una unione così prodigiosa, eccellente e incomparabile, che non vi è, né assolutamente può esservi nulla di simile, sia nell’ordine naturale, sia nell’ordine soprannaturale della grazia e della gloria (89). Abbiamo qui l’effetto supremo della potenza di Dio che unisce due nature delle quali una è increata e infinita, l’altra creata e limitata. Ma il Verbo, mentre possiede l’Umanità in modo così eminente, assoluto e perpetuo, a sua volta le dona pure a se stessa in modo eminente; assoluto e perpetuo (90). Pertanto, come è vero che un Dio è uomo, così è vero che un uomo. è Dio e veramente Dio, nel senso che riceve comunicazione non solamente della dignità proveniente dall’unione, ma pur dell’Essenza divina medesima. Perché il Verbo comunica veramente alla sua Umanità la divina Essenza, non già in quanto essa è comune alle Persone divine, ma in quanto è propria a se medesimo. Il Verbo, infatti, ha un modo personale di possedere l’Essenza divina, e un tal modo misterioso e incomprensibile gli è così speciale, che Egli ha potuta farsi uomo senza che il Padre e lo Spirito Santo prendessero la nostra umanità.
La comunicazione dell’Essenza divina, che il Verbo fa alla sua Umanità, non è soltanto una comunicazione come quella che ci viene fatta per la grazia santificante; è una comunicazione di un ordine a parte e assolutamente unico, che è l’ordine dell’unione ipostatica, ordine che non ha, né può avere, altro soggetto che Nostro Signore GESÙ CRISTO, Dio Uomo, il quale possiede in pari tempo la natura divina e la natura umana. A dir il vero (se tale distinzione non è troppo sottile), il Figlio di Dio possiede la natura umana in un modo più straordinario e speciale, che non possegga la natura divina in comune col Padre e con lo Spirito Santo, poiché Lui solo possiede la natura umana nell’ordine della Unione ipostatica, senza che il Padre e lo Spirito Santo abbiano parte, in quel modo, a un tal possesso pieno di mistero.
L’unione della natura divina e della natura umana, nella Persona del Figlio di Dio, è così perfetta, che non vi è che un solo e unico CRISTO: non già un CRISTO uomo e un CRISTO Figlio di Dio, ma un CRISTO assolutamente semplice e uno, egualmente Dio e egualmente uomo, un CRISTO che non è un composto di una natura divina e di una natura umana, dal quale risulti una persona divina in quel modo che noi siamo un composto di un’anima e di un corpo dal quale avviene ciò che si chiama una persona umana; ma il CRISTO GESÙ è il Verbo; Persona divina, preesistente alla natura umana. il quale la unisce alla sua natura divina nell’unità della sua Persona. Questo Mistero, lo chiamiamo Unione ipostatica, ed è l’unico termine esatto e conforme alla fede, perché esprime come le due nature, divina e umana, unite in un modo così ammirabile, rimangano tuttavia distinte, senza miscuglio, né confusione, né alterazione. Ma se consideriamo il soggetto di tale Mistero, esso è la più perfetta unità; il CRISTO GESÙ, unità perfettamente semplice e assoluta; la quale è come il fondamento di tutta la Redenzione, e che perciò venne sempre, in un modo solenne ed invariabile, affermata dalla Chiesa e dalla Tradizione (91).
Orbene, questo CRISTO unico, unico Figlio di Dio, eguale al Padre, e fattosi uno di noi con la sua Umanità, questo CRISTO, Vincolo tra Dio e gli uomini, è la nostra unica vittima. Egli è Sacerdote ed Egli è Vittima. È Sacerdote innanzi tutto e soprattutto, è questo il primo suo titolo; ed Egli è l’Ostia del suo Sacerdozio. Quale gloria è mai la nostra, quale consolazione e quale magnifica speranza! Perché è impossibile che non sia esaudito quando intercede per noi Colui che possiede una tale dignità, una tale elevazione, un tal credito (92). Colui che è la nostra Vittima è il proprio Figlio di Dio che ha prestato al Padre una soddisfazione abbondante e sovrabbondante.
Oh! come in ogni maniera il nostro Redentore è proprio Colui che Occorreva per la gloria del Padre e la nostra misera condizione! Qual Sacerdote e qual Vittima è GESÙ! Excelsior coelis factus! Con tali parole san Paolo esalta la dignità di GESÙ Sacerdote, parole che esprimono pure la grandezza sovreminente e la incomparabile perfezione di GESÙ Vittima. Tutto è divino in questo glorioso e delizioso Mistero. Piaccia al nostro Dio e Salvatore che possiamo, nella nostra umiltà, penetrar sempre meglio tali adorabili segreti!
(87) Praedestinata est ista naturae humanae tanta et tam celsa et summa subvestio, ut quod attolleretur altius, non haberet. – S. AUG., De Praedest. sanctor., cap. XV.
(88) Dignius est alicui quod existat in aliquo se digniori, quam quod existat per se. – S. TH., III, q. II, art. 2
(89) Inter omnia quae recte unum dicuntur, arcem tenet unitas Trinitatis qua tres Personae una substantia sunt. Secundo loco illa praecedit qua, e converso, tres substantiae una in Christo persona sunt. – S. BERN., De consider., lib. V.
(90) Cum ergo Deum hominem vel hominem Deum praedicamus, non natura e in naturam versibilitatem significamus, sed naturae utriusque mutuam omnimodam participationem. – HUGO S. VICT., Apologia de Verbo incarnato, art. VI.
(91) Si quis non confitetur carni secundum substantlam (id est hypostasim) unitum Dei Patris Verbum unicum esse Christum cum propria carne, eumdem scilicet Deum et hominem: anathema sit. – Concil. Ephes, can. 2. – Tutti questi concetti sono mirabilmente espressi e svolti dal Card. de Bérulle nella sua opera: Le grandezze di Gesù. Vedi Traduzione, edita da «Vita e pensiero», 1934.