P. SILVIO MARIA GIRAUD
MISSIONARIO DELLA SALETTE
SACERDOTE E OSTIA
GESÙ, la nostra Vittima, è Santa, è la Santità stessa, l’essere e la sostanza della santità e di ogni virtù soprannaturale (102). Egli è dunque la sostanza anche della Religione, poiché questa è la grande virtù della Vittima che sta sempre davanti a Dio per rendergli tutti gli omaggi che gli sono dovuti. GESÙ Vittima è la Religione e tutta la Religione dovuta al Padre; lo fu dal primo istante della sua vita mortale e lo sarà eternamente. Quale spettacolo nel Cielo, quella lode, quella riconoscenza, quella soddisfazione perpetua e assolutamente degna, quella compiacenza eterna procurata al Padre! Tutto questo avveniva, senza interruzione, durante la vita mortale di GESÙ, e continua ancora nel SS. Sacramento.
Intesa nel suo significato più elevato e più esteso, la Religione è la prima delle virtù, perché, secondo s. Tommaso, «è la professione della fede, della speranza e della carità, per le quali l’uomo in modo primordiale entra in relazione con Dio ed è quella che tiene il comando riguardo a tutte le altre virtù (103). Tale è pure il pensiero di s. Agostino (104). La Religione tributa a Dio quanto gli è dovuto, per quanto ne è capace la creatura; essa rende pure alle creature quanto ad esse è dovuto ovvero quanto è conveniente che ricevano da noi, ma sempre per l’onore e l’amore di Dio. Dimodochè, in verità, la Religione abbraccia tutto, e fa di noi stessi delle vittime perpetue di Dio, della sua gloria e del suo beneplacito; perché ci determina a pensare, volere e fare ogni cosa, non già per noi medesimi, ma per Dio, «sia che prendiamo il cibo, dice s. Paolo, che beviamo, o facciamo qualunque altra cosa» (I Cor 10, 31). Per la Religione, la creatura dedica tutta se medesima a Dio, sia per adorarlo, sia per benedirlo, lodarlo, supplicarlo, offrirgli riparazione, compiacimento e soddisfazione, estendere il suo regno, far sì che il suo nome sia conosciuto e santificato, sottomettere alla sua volontà l’universo intero. La Religione è dunque il principio di tutta la nostra vita spirituale, di tutto quanto facciamo per corrispondere ai disegni di Dio sopra di noi, come di tutto quanto ci imponiamo di fatica e di sollecitudine per la salvezza dei nostri fratelli (105).
Ma essendo utile dividere i diversi soggetti, per veder meglio l’eccellenza propria di ciascuno di essi, tratteremo sucsuccessivamente di diverse virtù in Nostro Signore. Per altro, ci sembra importante considerare dapprima questa grande virtù di Religione per la quale la creatura riconosce di non aver l’esistenza che per riferirsi a Dio, come alla sorgente e al principio di tutta la vita soprannaturale. «Non sapete voi, dice Nostro Signore, ch’io debbo occuparmi delle cose di mio padre?». «Il Pontefice, dice san Paolo, è stabilito per dedicarsi a ciò che si riferisce a Dio». La Religione in Nostro Signore GESÙ CRISTO! Spettacolo delizioso! È questo il gran carattere della Incarnazione, e ne è pure il fine. La Religione fu la vita temporale di GESÙ, ed è la sua vita eterna; e abbiamo già detto che, per parlare propriamente, tutta la Religione dovuta al Padre, è GESÙ CRISTO. Fin dal principio lo sguardo di GESÙ era fissato sopra quel Padre santo e la sua Essenza, la sua vita immanente, i suoi atti interni, la sua innascibilità, la sua generazione attiva e il suo amore per il suo Verbo; sopra la processione dello Spirito Santo in unità di principio col Figlio; sopra la missione delle Persone divine, i loro attributi, le loro relazioni, e le loro opere esterne, nell’unità dell’Essenza divina; sopra i diritti e gli interessi di quelle adorabili Persone, le loro vedute, i loro disegni; sopra l’omaggio che è giusto ascenda, per tanta Maestà, Santità e Bellezza, a Colui che è l’Essere. GESÙ vedeva Dio e tutto ciò che Dio merita di adorazione, di amore, di congratulazione, di compiacenza e di gioia per la sua felicità; di condoglianza, di riconoscenza, di preferenza, di confidenza, di preghiera, di soddisfazione, di adesione alla sua volontà; e quanti altri diritti che non sappiamo neppure nominare! Gesù vedeva tutto questo…; e chi mai dirà le elevazioni della Vittima adorabile, i suoi trasporti, le sue gioie, le sue lodi, ciò che ne riempiva il cuore, alla presenza, alla vista di Dio, suo Padre? Chi potrà, del pari, esprimere l’umiltà delle sue prostrazioni, i suoi abbassamenti, i suoi annichilamenti? Chi potrà rivelarci in quali abissi Egli voleva scendere, perdersi e scomparire per onorare, con questa sorta di distruzione del suo Essere creato, l’Essere increato di Dio, e, per tale immolazione di quel suo essere stesso, onorare la Realtà e il Tutto del Padre suo? Il seno di Maria, Betlemme, Nazaret, la Vita Pubblica, la Passione, il Cielo, il Tabernacolo sono ripieni di questa altissima, oltremodo profonda e veramente inesprimibile Religione (106).
Nostro Signore diceva un giorno alla peccatrice Samaritana, «che il Padre vuole adoratori in ispirito e verità» (Gv 4, 23). Lui stesso era l’«Adoratore in ispirito e verità»; e veramente l’unico adoratore «che il Padre ricerchi». Perché unicamente per l’unione con l’adorazione del Figlio suo, le altre adorazioni possono piacergli. Adorare «in ispirito», significa adorare nel più intimo dell’anima, e non solo all’esterno, con segni esteriori; adorare «in ispirito», significa adorare secondo tutta la perfezione con la quale lo Spirito Santo, che è una Persona divina, ci porta ad adorare. Adorare «in ispirito», è adorare secondo quanto Dio merita e aspetta da noi: adorare con piena cognizione di ciò che Dio è, e col desiderio intimo, insaziabile, di tributargli quanto gli: è dovuto; non vedere che il suo Essere che è tutto, e non aver attività che per umiliarsi e annichilirsi alla sua presenza, a fine di onorare la maestà e l’infinità di quell’Essere che è l’unico Essere vero.
Orbene, tutto questo che noi diciamo balbettando, era lo stato, la disposizione sempre attiva, l’atto incessante e inesprimibilmente amoroso di GESÙ. Diciamo: amoroso; perché, infine, la Religione è amore. La Religione opera nell’amore, termina e si compie nell’amore (107). L’amore ne è la forma, la bellezza, l’essenza. È l’amore che adora, è l’amore che loda, benedice, supplica, espia, e, coll’annientarsi, giunge all’unione con l’Essere che è il suo Tutto.
Così GESÙ senza posa onorava suo Padre con la varietà e l’unità degli atti della sua divina vita; ma non adorava da solo; quegli atti della più sublime Religione, non li operava separatamente. Tutto quanto GESÙ, nostro Sacerdote e nostra Ostia, ha fatto in se stesso, lo ha fatto per Lui medesimo e in pari tempo per noi, vale a dire, in nome nostro, in vece nostra, in favore nostro, come essendo uno con noi, senza mai separarsi da noi, sempre assumendoci con Lui, e questo indissolubilmente, perché, in un certo modo, Egli non è completo che in noi, giusta una espressione molto straordinaria di s. Paolo (108).
Questa unità di GESÙ CRISTO e del suo Corpo mistico è uno degli insegnamenti più frequenti di sant’Agostino (109). Orbene, da questa magnifica e commovente dottrina risulta che Nostro Signore, Ostia di adorazione, di lode, di perfettissima Religione in una parola, davanti alla Maestà del Padre suo, durante tutta la sua vita, sulla croce, in cielo, nel santo altare, ci rende Ostie come Lui e in Lui. Perché Egli è il Capo, il Re di ogni creatura, noi tutti siamo compresi nella sua oblazione, e gli angeli pure. Egli si costituisce nostro rappresentante, nostro supplemento; eleva le anime nostre verso il Padre, le abbassa e le annienta davanti a Lui. Nulla può essere ostacolo all’esercizio del suo potere di sacrificare. La sua Religione abbraccia tutto, tutti i luoghi e tutti i tempi, da un’eternità ad un’eternità, dai limiti più infimi del creato sino all’uomo, sino all’angelo, sino a Maria: immensa oblazione, lode universale, culto che comprende e porta a Dio tutto quanto non è Dio.
È vero che GESÙ solo basta al Padre; e che quando pure tutto il resto mancasse ai desideri della nostra Vittima, o resistesse ostinatamente all’esercizio della sua Religione, il Padre avrebbe ancora quanto pienamente lo soddisfa; è vero che la nostra Religione, coll’unirsi a quella di GESÙ, non ne accresce punto, il merito e la perfezione; ma l’ordine vuole che ogni creatura glorifichi il Creatore. GESÙ prende l’iniziativa di tale glorificazione. Anche prima di esistere, noi siamo consacrati e lo siamo stati fino da quel momento nel quale Gesù diceva, nel seno di sua Madre: «Ecco che vengo, o mio Dio!». Orbene, è necessario che la Religione di GESÙ si dilati in noi. Dio merita che tutto quanto ha creato, sia ripieno di questa Religione perfettissima. Egli merita di ricevere, da tutti i punti del tempo e dello spazio, l’inno dell’adorazione e della lode. E appunto perché tale onore gli venga tributato, GESÙ ha la volontà e l’intenzione di tutto offrire in sacrificio e in olocausto al Padre suo.
Oh! quanto saremo felici di sanzionare questa oblazione, di accertarla con plauso. e di voler noi pure essere, ad ogni istante della nostra vita e in tutto il nostro essere, perfetti adoratori del Padre, fedeli Religiosi della sua Maestà, Vittime umili e sottomesse del suo Amore e del suo beneplacito!
Non possiamo esimerei dall’aggiungere qualche riflessione sulla Religione esteriore di GESÙ, vale a dire, sulla manifestazione ch’Egli si è degnato di fare del suo zelo per il Padre suo, sia nei suoi atti, sia nelle sue parole. Basta citar il Vangelo. «GESÙ disse loro: Non sapevate voi ch’io debbo occuparmi delle Cose spettanti al Padre mio?» «Egli passava la notte in orazione». Pregando alzava gli occhi verso il Padre. Dichiarava «che il Padre solo è buono», «che se Lui stesso avesse glorificato se medesimo, la sua gloria sarebbe stata un niente; ma che non viveva che per il Padre suo. Il suo cibo era di fare la volontà del Padre. Ciò che piaceva al Padre, ecco ciò ch’Egli faceva sempre». E ancora: «Bisogna che il mondo sappia che amo il Padre mio. Se dò la mia vita, è perché ne ho ricevuto l’ordine dal Padre» (110). Dopo aver istituita l’Eucarestia «disse un inno» coi suoi Apostoli (Mt 26, 30). Nell’Orto degli Ulivi, stava prostrato ginocchioni e la faccia contro la terra, davanti alla Maestà di suo Padre, e pregava a lungo, ripetendo sempre le stesse parole: «Padre, se è possibile, questo calice si allontani da me; per altro, si faccia la vostra volontà e non la mia» (Lc 22, 42)! Prima di dar l’ultimo respiro Egli disse: «Padre mio, nelle vostre mani raccomando il mio spirito», e chinò la testa per morire (Lc 23, 46; Gv 19, 30).
Quale Religione!… Tali omaggi esterni di atti e di parole, sono l’espressione fedelissima dell’omaggio interiore di tutto l’essere suo alla volontà, ai decreti, ai disegni di Dio suo Padre. Quanto sono belIi quegli sguardi elevati verso il cielo! Come è commovente l’atteggiamento di quel supplicante, con le ginocchia piegate e la faccia contro terra! E che dire di quel capo così umilmente chinato, non già davanti alla morte, Ma davanti all’ordine e al beneplacito del Padre che riceve il Sacrificio, e a cui la dolce Vittima raccomanda il suo spirito, mentre muore per amore di Lui!
Come si sente profondamente che GESÙ è davvero il Sacerdote e l’Ostia di Dio! Quanto sono meravigliose e commoventi queste parole: «Bisogna che il mondo sappia che amo il Padre mio!». La sua Religione è amore; ma nel suo Cuore vi sono fiamme di carità che senza posa. si innalzano verso il Padre e i cui ardori consumano quel Cuore adorabile; ed Egli vuole che il mondo conosca quelle fiamme e quegli ardori. Procuriamo al Cuore di GESÙ la soddisfazione che vuole da noi. Che possiamo, con la sua Grazia, intendere ciò che è quell’amore di cui Egli parla, quella filiale dilezione che è il fondo della sua vita e del suo essere, la sua vita, il suo essere, o Vittima dolcissima!
(102) Ipse enim Christus est natura virtutum. – ORIGENES, in Psalm. XXXVIII. Homil. II.
(103) S. TH., II, II, q. 101, art. 3; q. 81, art. 1.
(104) Verae virtutes, nisi in eis quibus vera inest pietas in Deum, esse non possunt. De Civit. Dei, lib. XIX, cap. IV.
(105) Riconosciamo, con s. Tommaso e la maggior parte dei teologi, che la religione è anche una virtù speciale che ha per oggetto il culto di Dio, Così intesa, è inferiore alle virtù teologali, e appartiene alla virtù cardinale di giustizia, Per quanto questa maniera di considerare la religione sia rispettabile a motivo dell’autorità di s. Tommaso e di altri teologi, incliniamo ad accettare l’opinione di un autore di gran merito, il quale dice nella sua Teologia morale: Virtus religionis in se coadunat virtutes theologicas, nec ab eis specie, differt… Dope aver detto che non v’è vero culto di Dio senza l’esercizio delle virtù teologali, mentre tutti gli atti di omaggio a Dio provengono e sono ispirati da queste virtù, conclude: «Cum itaque actus religionis nihil differant ab actibus virtutum theologicarum, virtus religionis merito definienda est: Coadunatio fidei, spei et charitatis hominem inclinans ad exhibendum Deo cultum». MARTINET, Theol. mor., lib. II.
(106) «La vita di GESÙ era vita di incomparabile adorazione resa al Padre, era un culto vero che aveva la sua ragione nel sentimento che GESÙ aveva del nulla della sua anima umana. Le lodi che Egli offrì alla SS. Trinità eccedono moltissimo il culto che tutti i meriti possibili delle creature potrebbero renderle. Ciascuno degli affetti del suo sacro Cuore aveva un valore infinito; e siccome furono innumerabili, si può dire che ad ogni istante GESÙ rendeva a Dio un culto di gloria infinito». FABER, Il Santo Sacramento, lib. II, sez. III.
(107) Non colitur Deus nisi amando. – S. AUG., Epist. CXL: Quid est pietas, nisi Dei cultus? Et unde me colitur, nisi charitate. – Epist., CLXVII.
(108) Ecclesia) quae est corpus ipsius, et plenitudo ejus. Eph., I, 23.
(109) Sicut enim corpus unum est, ait apostolus, et membra multa habet, omnia autem membra corporis, cum sint multa, unum est corpus: ita et Christus. Non ait: Ita et Christus et corpus; sed: corpus unum, membra multa, ita et Christus; …Tenete hoc …ut cognoscatis Christum caput et corpus …et inde videatis quanta gratia pertingatis ad Deum, ut ipse voluerit esse nobiseum unus, qui est cum Patre unus. In Psalm, CXLII, XXXVII, LIV. – Christus eaput est et corpus ejus… noluit loqui separatim, quia noluit esse separatus, dicens: Ecce ego vobiscum sum… Si nobiscum est, loquitur in nobis… de nobis, loquitur per nos, quia et nos loquimur in illo. In Psalm, LVI. – Christus ubique diffusus… ejus vocem in omnibus psalmis, vel psallentem, vel gementem… notissimam jam et familiarissimam habere debemus. In Psalm, LXII.
(110) Luc., II, 49; VI, 12; XVIII, 19. – JOANN., IV, 34; VI, 58; VIII, 29, 54; X, 18; XIV, 21; XVII, 1