P. SILVIO MARIA GIRAUD
MISSIONARIO DELLA SALETTE
SACERDOTE E OSTIA
LIBRO SECONDO.
Della comunicazione che nostro signor Gesù Cristo fa al suo sacerdote del suo sacerdozio, del suo stato di Ostia e delle sue disposizioni
CAPITOLO OTTAVO. Eccellenza della grazia sacramentale fondamento della santità speciale del sacerdote
Il fondamento della santità speciale ed eminente del Sacerdote, è la grazia ch’egli riceve nel Sacramento dell’ordine; grazia che non solo è santificante nel momento in cui viene comunicata, ma altresì conferisce il diritto a tutte quelle grazie attuali che sono necessarie, per raggiungere i fini del ministero sacerdotale ed adempierne le funzioni.
Si tratta, in primo luogo, di una grazia attualmente santificante, grazia conferita dal sacramento e che, necessariamente, è di una eccellenza affatto speciale, poiché ha una relazione diretta col ministero principale che dobbiamo esercitare. Qual’è questo ministero? La consacrazione del Corpo e del Sangue di GESÙ CRISTO. Noi, dunque, in virtù dell’ordinazione, riceviamo il potere e il diritto di consacrare il Corpo e il Sangue del Figlio di Dio, e, con questo potere e questo diritto, una grazia che ci rende adatti a compiere una tale opera che non ha pari, e a compierla, non soltanto con un atto ministeriale, ma con soprannaturali disposizioni convenienti alla ineffabile eccellenza di un’opera oltremodo divina. E allora?.. Chi potrebbe farsi un’idea della perfezione sublime della grazia sacramentale corrispondente a un ministero così elevato? San Tommaso ha detto: Cuicumque datur potentia aliqua divinitus, dantur etiam ea per quae executio illius potentiae possit congrue fieri (275). La Chiesa, nella Liturgia, ci ricorda espressamente questo principio e quella legge che la divina Sapienza segue nelle sue opere. Nelle lezioni della festa del Patrocinio di san Giuseppe leggiamo: Omnium singularium gratiarum, alicui rationabili creaturae communicatarurm generalis regula est, quod, quandocumque divina Gratia eligit aliquem… ad aliquem sublimem statum, omnia charismata donet, quae illi personae sic electae, et ejus officio necessaria sunt atque illam copiose decorant (276).
A noi naturalmente si applicano queste parole. Orbene, nell’universo non vi fu mai, né tra gli uomini, né tra gli angeli, un ministero simile al nostro. È forse possibile Immaginare cosa più sublime e più divina di questo ministero inenarrabilmente bello e dell’opera che gli è propria?… Noi facciamo sempre eccezione per la divina Maternità di Maria. – Non vi è quindi, né in cielo né in terra, nessuna grazia che possa mettersi a confronto con quella che il Prete riceve nella sua Ordinazione (277).
E tale grazia così eminente, così speciale al Sacerdote, così unica nell’ordine delle divine comunicazioni, non è transitoria, poiché è la grazia medesima di un Sacramento che ha questo di particolare, col Battesimo e con la Cresima, che imprime un carattere incancellabile. Questa grazia, direttamente e essenzialmente, si riferisce all’atto consacrante, che il Sacerdote compirà ogni giorno al santo altare; ma dimora in essa, ne penetra tutta la persona e ne informa tutti gli atti interiori e esterni. Il Sacerdote, secondo san Dionigi, non soltanto nell’atto del suo ministero principale, ma sempre e in ogni cosa, è «oltremodo conforme e simile a Dio» (278). Perciò, in virtù di quella grazia eminente, egli è sempre sorretto, illuminato, aiutato, fortificato da grazie attuali, le quali, nel pregio speciale che possiedono, sono partecipi della eminente bellezza della grazia sacramentale; perché le opere di Dio sono perfette e non v’ha in esse nessun disordine né contraddizione alcuna (Dt 32, 4). Ne segue che le grazie attuali di fede, di speranza, di carità e delle altre virtù cristiane, che il Prete incessantemente riceve secondo l’opportunità, sono altrettanto al disopra delle grazie comunemente concesse ai semplici fedeli, quanto la sua dignità e il suo ministero sono al disopra della loro condizione (279).
O Dio! Quale stato glorioso! La santità è ciò che v’ha di più grande al mondo; e il Sacerdote è santo! I sacerdoti della Legge antica erano santi in virtù della consacrazione di Dio. Dio lo esigeva, con questo ordine: «Siate santi, perché io sono Santo», perché dava loro il mezzo d’essere santi, e li santificava in pari tempo che li consacrava «alla sua religione perpetua» (Es 29, 9); se erano docili alla grazia di tale consacrazione, erano santi. Ma, nelle nostre anime, il Signore opera un miracolo di santificazione ben superiore; ci rende partecipi del Sacerdozio del Figlio suo e ce ne dà una comunicazione sempre vivente e sempre attiva, eterna come quel Sacerdozio medesimo. L’atto proprio del nostro Sacerdozio è l’atto medesimo del Sacerdozio adorabile e unico del Figlio di Dio; e questo atto è l’atto veramente unico del Figlio di Dio: l’atto unico nel tempo perché in esso ogni cosa ha ricevuto il suo compimento, e l’atto unico nella Eternità. In questo atto unico che dobbiamo continuare «in memoria di GESÙ», noi siamo una cosa sola col Verbo, Pontefice e Sacerdote del Padre! Qual è dunque, o Dio! la Santità che ci viene comunicata, se non la Santità stessa del Verbo eterno? Ai sacerdoti della Legge era stata indirizzata questa parola: «Siate santi, perché io sono Santo», ma per noi vennero dette parole ben più estese, più profonde, più amorose e più santificanti, perché operano l’unità in un modo ben più efficace: Et pro eis Ego sanctfico meipsum; ut sint et ipsi sanctificati in veritate… Ego in eis, et Tu in me; ut sint consummati in unum (Gv 17, 19,23)
In unum! Il Sacerdote e GESÙ CRISTO, una cosa sola! Il Sacerdote e Dio, una cosa sola.
Il Sacerdote, dice san Tommaso, rappresenta Dio non solamente in ciò che Dio è in se medesimo, ma pure anche nella sua azione santificante nel mondo» (280). «Ciò posto, soggiunge Bourdaloue parlando del diritto che dall’Ordinazione viene conferito di offrire il santo Sacrificio, io vi domando se, all’infuori della Santità di Dio, vi sia altra santità così eminente che possa corrispondere all’onore di un ministero così sublime» (281).
Questa santità eminente è la grazia dell’ordinazione, la quale viene conservata, meravigliosamente abbellita e accresciuta, con la fedeltà alle grazie attuali che vi rispondono. Perciò un santo Papa ha detto: «Nelle Ordinazioni soprattutto, opera la pienezza dello Spirito Santo. Plenitudo Spiritus Sancti maxime in ordinationibus operatur» (282). E san Dionigi non dubita di affermare che «nell’Ordinazione sacerdotale, i Preti ricevono, in un grado perfetto, la scienza delle cose divine con una particolare attitudine alla contemplazione. Sacerdotes ad scientiam et facultatem contemplatricem, sacerdatali consecratione, perfecti sunt» (283). Si capisce la ragione di una comunicazione sì abbondante dei doni di Dio; le «opere di Dio» non sono incoerenti, ma «perfette»: Insieme con la grazia dell’Ordine, i Sacerdoti ricevono dunque una disposizione particolare alla conoscenza delle profondità del Dogma, dei segreti della Scrittura, delle operazioni della grazia, e di quella scienza sì difficile che si chiama, nella Teologia mistica, il discernimento degli spiriti; ricevono inoltre, in pari tempo, un certo dono di Orazione, una facilità di elevare frequentemente l’anima propria a Dio e alle cose divine, una specie di attitudine alla contemplazione: ad facultatem contemplatricem perfecti sunt.
E queste parole di san Dionigi non devono meravigliarci. Perché, se i Sacerdoti sono chiamati all’azione, ossia alle opere di zelo, «dalla contemplazione come da una sorgente feconda e inesauribile, dice san Tommaso, deve provenire la parola della pubblica predicazione» (284). Possiamo dunque dire senza esagerazione che la prerogativa di certe anime che vivono nella solitudine, è per il Sacerdote, in certo qual modo, un dono naturale. Non dice forse san Giovanni Crisostomo, che al Sacerdote, in considerazione delle grazie affatto privilegiate, electissimas omnium gratias, che gli sono proprie, si possono applicare quelle parole dei Libri Santi: «Cujus erunt optima quaeque Israel? Nonne tibi?» (De Sacerdotio, lib. III).
Sotto l’influenza, senza dubbio, di tali pensieri l’abate Olier scriveva le seguenti belle parole: «Il Sacerdote!… Qual prodigio di grazia! Se la parola mostro potesse prendersi in un senso buono, vorrei dire che è un mostro di santità. Nella natura, infatti, si chiamerebbe mostro colui che avesse cento teste, cento piedi, o cent’occhi. Orbene, nella grazia, il Sacerdote ha cento cuori, chè anzi deve averne di più. Perché bisogna che ne abbia milioni, o meglio altrettanti quante sono le creature ragionevoli che vivono sulla terra, dovendo egli possedere la carità universale per tutti gli uomini, dovendo amare Dio per tutti, ed amarlo egli solo quanto tutto il mondo insieme, per rendere a Dio la gloria che gli è dovuta… Egli deve investirsi dell’amore che Nostro Signore, in quanto Sacerdote, – ha per Dio. Egli deve, come GESÙ CRISTO, avere un cuore infinitamente aperto e dilatato per tutto il mondo, epperò deve essere un prodigio di grazia e di santità» (285).
NOTE
(275) Supplem., q. XXXV, a. I.
(276) II Noct. – Sermo S. Bernad. Senens.
(277) Ricordiamo queste parole di Giov. Olier: Dio ha fatto due prodigi nella Chiesa: il Sacerdote e la SS. Vergine. – Trattato, ecc;, parte III. cap.
(278) In divino, quis non audendus aliis dux fieri, nisi secundum habitum suum factus sit Deo formissimus et Deo simillimus. – De Eccles. Hierarch., cap. III.
(279) Debet praeponderare vita sacerdotis, sicut praeponderat et gratia. – S. AMBROS. Epist. LXIII. – Cum Sacerdotium sit res adeo divina… quis dubitat electissimas omnium gratias alligatas esse ordinationi? S. CHRYSOST., De Sacerdotio, lib. III.
(280) Supplem., q. XXIV, a. 1.
(281) Exhortation sur la dignité et les devoirs des Pretres
(282) S. INNOCENT.; I, Epist.
(283) De Hierarch. eccles., cap.
(284) II. II, q. CLXXXVIII, a. 6.
(285) Trattato dei santi Ordini, III parte, cap. VI.
VI.XXIV.V. – San Dionigi chiama l’ordine dei Preti illuminatore; quello dei Diaconi purificatore, e quello dei Vescovi perfezionatore.