P. SILVIO MARIA GIRAUD
MISSIONARIO DELLA SALETTE
SACERDOTE E OSTIA
LIBRO SECONDO.
Della comunicazione che nostro signor Gesù Cristo fa al suo sacerdote del suo sacerdozio, del suo stato di Ostia e delle sue disposizioni
CAPITOLO NONO. Di un carattere particolare della grazia sacerdotale che è la sua ammirabile universalità
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L’universalità della grazia dei Sacerdoti può intendersi in due maniere differenti, ugualmente gloriose. In primo luogo, la santità dei Sacerdoti abbraccia tutte le virtù. Quando il Vescovo, nell’atto di conferire ai Diaconi il Presbiterato, prega per loro, domanda a Dio che possiedano, con splendore, ogni giustizia, ossia ogni perfezione: Eluceat in eis totius forma justitiae. Nel corso poi di quell’augusto rito, ora sotto forma di raccomandazione agli ordinandi, ora nelle preghiere che rivolge a Dio, Egli ricorda che il Sacerdote deve essere ornato di tutte le virtù, e ne fa l’enumerazione: «La perfezione della carità verso Dio e verso il prossimo, una sapienza celeste, la giustizia, la costanza, la misericordia, la fortezza, una grande probità, la scienza, una grave maturità nella condotta e nelle opere, una fede perfetta, una castità esemplare, e infine, in ogni circostanza, l’integrità di una vita santa, dimodochè il buon odore delle virtù del Sacerdote sia la gioia della sposa di GESÙ CRISTO» (286). San Tommaso vuole che il Sacerdote rappresenti Dio, secundum quod in se est) ossia Dio quale è in se stesso. Come si potrebbe dir di più?
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Nei semplici fedeli, al dir di san Paolo, v’ha «divisione e distinzione di grazie» (I Cor 12, 4); ma al Sacerdote sembra riservato il magnifico complesso di tutte le benedizioni celesti, e questo costituisce l’onore e il tesoro della sua vita: Eluceat in eis totius forma justitiae.
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La grazia sacerdotale è universale ancora, in questo senso che dedica, conserva e unisce il Sacerdote all’universalità delle anime redente, alla Chiesa tutt’intera; tanto alla Chiesa trionfante del Cielo, come alla Chiesa paziente del Purgatorio, come alla Chiesa che, sulla terra, lotta e si santifica nella prova.
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Nel Sacerdote, vi è il carattere del Sacerdozio e lo stato di Vittima. L’uno e l’altro provengono dalla comunicazione che Nostro Signore gli fa del proprio Sacerdozio e del proprio stato di Ostia: il primo in virtù dell’Ordinazione; il secondo, dapprima in virtù della medesima, e in seguito, in una maniera che potremmo chiamare definitiva, nella prima santa Messa celebrata. Orbene, tanto in virtù del suo carattere sacerdotale, come del suo stato di Ostia, il Sacerdote appartiene alla Chiesa intera. In virtù del suo carattere sacerdotale, perché il suo Sacerdozio è quello medesimo di Nostro Signore GESÙ CRISTO, e GESÙ CRISTO non l’ha esercitato, né lo esercita, se non per la Chiesa. Infatti, «ogni Sacerdote è costituito a pro degli uomini, in ciò che riguarda Dio». Perciò, nel rito dell’Ordinazione del Presbiterato, il Pontefice espressamente dice che «l’ordinando dovrà offrire il Sacrificio a Dio, tanto per i vivi, come per i morti» (287). E dall’autore dell’Imitazione (Lib. IV, cap. V) sappiamo che «ogni volta che celebra, il Sacerdote rallegra gli Angeli del cielo, edifica la Chiesa della terra, e procura sollievo ai defunti».
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Nella sua qualità di Sacerdote, il ministro di GESÙ CRISTO appartiene dunque a tutta la Chiesa. Ma possiamo dire lo stesso, se lo consideriamo quale Vittima di Dio con GESÙ? Chi non vede che nell’istesso modo che è Sacerdote in GESÙ CRISTO, egli è pure Vittima in GESÙ CRISTO. Il Figlio di Dio, dopo la consacrazione, si offre al Padre suo, e, con tale oblazione, si dona in comunione alla Chiesa del Cielo, e questa comunione è come la sorgente inesauribile della Beatitudine accidentale degli eletti; si dona pure in comunione alla Chiesa del Purgatorio, e con questa comunione, procura consolazione, sollievo e libertà alle anime che vi sono detenute; si dona in fine in comunione alla terra, e questo atto del suo amore, dono dei suoi meriti, effusione della sua grazia, costituisce tutta la speranza e tutto il tesoro della terra. GESÙ è Ostia e si dona. Perché si sappia bene che si dona, Egli è Ostia sotto le apparenze dei nostri alimenti più ordinari. Ma GESÙ dona se stesso soprattutto al Sacerdote. In questo Egli diffonde il suo spirito di Ostia; di lui, soprattutto, fa una medesima Ostia con sé. Lo ha fatto Sacerdote nell’unità del suo Sacerdozio e per tutti i fini del suo Sacerdozio; così, lo offre, lo consacra e lo costituisce Ostia, per tutti i fini del suo stato di Ostia: ciò significa che lo costituisce Ostia a pro di tutta la sua Chiesa, come lo ha fatto Sacerdote a pro di questa sua Sposa diletta.
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Ecco dunque quell’umile creatura, benché peccatrice nel suo fondo, benché capace di cadere in peccato mortale e di perdersi per l’eternità, innalzata, per effetto di una incomprensibile condiscendenza di Dio, all’unità del Sacerdozio del Verbo adorabile; e all’unità dello stato di Vittima di questo unico Sacerdote e unica Ostia del Padre; e in virtù di tale unità questa povera creatura è dedicata, data e consacrata a tutto il Cielo, a tutto il Purgatorio, a tutta la terra. È questa una stupenda meraviglia, opera della Misericordia e della Potenza dell’Altissimo; è una trasformazione che non può essere che 1’opera della sua Destra (Ps. 76, 2).
Orbene, questo commovente mistero dell’unione del Sacerdote con la Chiesa si compie in due maniere. Da una parte, il Sacerdote incessantemente si porta verso tutte le anime che abitano in queste tre regioni della grazia: il Cielo, il Purgatorio, la terra. D’altra parte, tutte le anime si portano verso il Sacerdote come verso il loro centro, verso il centro della loro vita. – È bene riflettere su questa meraviglia, per la nostra consolazione, la nostra gioia spirituale e la nostra eterna riconoscenza.
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La vita del Prete, Sacerdote insieme e Vittima, sta in una perpetua e intimissima unione con la Chiesa trionfante. Ciò che san Paolo ha raccomandato a tutti i fedeli, è come lo stato abituale dell’umile e beato Ministro di GESÙ CRISTO. «Nostra conversatio in coelis est. La nostra conversazione, o meglio, secondo la forza del testo, la nostra vita è in cielo» (Fil 3, 20). Perciò sant’Efrem dice con una specie d’entusiasmo: In ipsos coelos coelorum, sine impedimento atque labore, ascendit (sacerdos), et in medio Angelorum simut cum spiritibus incorporeis facile versatur (288). Il Sacerdote, in questo esilio, ha lo sguardo abitualmente rivolto a quel Luogo di pace, verso quel Regno della lode eterna. S’innalza, secondo una parola di san Paolo, verso «quella Chiesa dei primogeniti» e predestinati del Signore (Eb 12, 23); e si associa ai cantici, alla religione e all’amore degli eletti in cielo. Egli penetra in quel Santuario «che non è stato fatto dalla mano dell’uomo», dove l’Agnello, quell’Agnello medesimo che ogni giorno ei tiene tra le mani, sta perpetuamente in istato d’immolazione, al cospetto dei santi (2 Cor 5, 1; Eb 9, 11). Il Sacerdote unisce la sua voce a quella di tutti gli ordini dei Santi, e si associa al cantico della Patria in onore dell’Agnello (Ap 5, 6,12,13). Egli si unisce soprattutto ai cantici, alla riconoscenza, all’amore, alla gioia di Maria; e con Maria e, con tutta la Società della Gloria, ei benedice e loda l’Agnello, e, nell’Agnello e per mezzo dell’Agnello, il Padre, nell’amore dello Spirito Santo. In tale unione santa egli compie, in questa valle di lagrime, tutti gli atti di religione, che gli vengono imposti dalla sua vocazione o ispirati dalla sua divozione.
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È vero che tutti i cristiani sono invitati a questi trasporti soprannaturali e il Sacerdote ogni giorno rivolge loro questo invito, dicendo: Sursum corda! Il grande Apostolo, infatti, ,non ci raccomanda soltanto di ricercare ciò che è del cielo e di elevarci verso ciò che è in cielo, ci domanda propriamente una dimora stabile, fin d’ora, in quella terra dei viventi (Ef 2, 5-6). Ma, se per il comune dei fedeli è questa una disposizione perfetta e superiore; per il Sacerdote invece è, in certo qual modo, la grazia ordinaria e naturale. Donde viene quell’Ostia ch’egli porta nelle sue mani? Donde viene e dove ritorna? Dal cielo viene, al cielo ritorna quando appare consunta nella Comunione; e mentre essa risale al cielo in questa Comunione del Sacrificio, il Sacerdote ce l’ha ricevuta e se l’è assimilata, divenuto ostia anche lui, sale al cielo con l’Ostia e vi dimora.
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Vive nel cielo il Sacerdote… Eppure, senza cessare di dimorare in cielo, egli è con tenerezza applicato e unito alle anime sante del Purgatorio, perché le vede, come vede ogni cosa, nella luce che tutto illumina, in quella luce che è il Verbo Incarnato, l’Ostia, l’Agnello. Quella luce che tutto rischiara nel Cielo (Gv 1, 9; Ap 21, 23), lascia cadere qualcuno dei suoi raggi sin giù in quegli oscuri reami dell’espiazione e della sofferenza. Per altro, siccome l’Ostia, che il Sacerdote innalza ogni mattino, porta infallibilmente efficaci soccorsi a quelle anime afflitte (289), l’Ostia attira pure il suo Sacerdote verso quelle anime benedette. Il Sacerdote, sotto l’azione e l’impulso della carità di GESÙ CRISTO, non perde più di vista quelle anime tanto degne della sua devozione: si considera come il loro Sacerdote e come la loro Ostia; come il loro Sacerdote con l’Oblazione del Sacrificio che è la fonte e il principio di tutto quel sollievo che aspettano; come la loro Ostia, con le sue soddisfazioni personali e con i suoi suffragi a loro favore. Di più, si fa il loro avvocato, il loro missionario, il loro apostolo; quando parla di quelle anime così afflitte, si sente che è il loro amico, e, in certo senso, il loro padre; tanto sono sincere ed evidenti la compassione e la tenerezza che dimostra a loro riguardo!
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Altro segreto del mistero di questa unione: il Sacerdote non solamente è tutto animato dalla carità per le anime sante del Purgatorio, ma si unisce pure ad esse come tenero fratello; si associa alla loro religione, alle loro suppliche, alla loro riconoscenza, alla loro lode perpetua. Ché se egli è il loro sacerdote, esse possono essere il suo supplemento nelle opere di religione che la condizione della vita presente rende talvolta sì imperfette. Nella religione di quelle anime, invece, niente d’Imperfetto; esse soffrono, ma le più estreme sofferenze non alterano per nulla la soprannaturale bellezza delle loro elevazioni verso Dio. Si elevano con profonda umiltà e rassegnazione verso quel Padre che non meritano di vedere, verso quell’Agnello di cui quaggiù non hanno compreso abbastanza la misericordia e l’amore. Adorano con ineffabile dolcezza il rigore della sua sentenza, i diritti della Giustizia che le colpisce. Nelle loro lagrime e nei loro ardenti desideri, v’ha una adesione e un abbandono oltremodo filiale alle esigenze della Santità infinita. Anime sante! soffrono dolori inesprimibili, ma pure innalzando cantici di una soavità sublime.
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Considerando quella religione perfettissima il Sacerdote se l’appropria quale supplemento della sua preghiera; nelle pratiche di pietà, nella recita del Breviario, ed anche quando ascende all’Altare, egli intende unirsi a quelle anime sante, al loro spirito di lode, di riconoscenza e di amore; domanda umilmente che il loro fervore supplisca a ciò che manca al suo proprio spirito di religione; e questo pensiero, con la speranza d’ottenere il compimento dei suoi desideri, è per lui un conforto e una consolazione.
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L’esempio di quelle anime sofferenti gli procura un altro beneficio. La loro pazienza, la loro umiltà, il loro filiale abbandono e la loro adorazione oltremodo sublime sono per lui lezioni preziose, per la direzione della propria vita, per la santificazione delle pene e delle prove di questo esilio, per l’amore dei beni eterni (290). E con qual fervore il buon sacerdote domanda a Dio la grazia di partecipare alloro perfetto spirito di Vittima!
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Il Cielo e il Purgatorio sono come la dimora deI Sacerdote; tuttavia egli appartiene alla Chiesa militante. Perciò, qui ancora dobbiamo dire che, senza distrarsi dalla unione cogli eletti deI Paradiso e con le anime purganti, il Sacerdote è per intero dedicato agli interessi, alle necessità e alla vita laboriosa della Chiesa della terra. In questa egli sta, in questa si diffonde, si direbbe che per lui la Chiesa è tutto, e che in virtù dell’unione che ha contratta con essa, la Chiesa intera è in lui. Belle parole quelle di san Pier Damiani: «Ogni fedele è come un piccolo compendio della Chiesa; il Sacerdote è la Chiesa intera» (291). Perciò nulla avviene a riguardo di questa Sposa benedetta del Redentore, che non sia oggetto delle più intime sollecitudini, delle preghiere, dello zelo, della divozione del Sacerdote; con incredibile amore ne assume tutti i sacri interessi e li porta incessantemente nel suo cuore; essi sono i suoi affari più preziosi e più cari: tutto il resto, a paragone, per lui è niente. Per lui «il Papa e la Chiesa è tutt’uno» (292); e parimenti il Sommo Pontefice e GESÙ CRISTO, è tutt’uno. Come ama la gloria, l’onore e il trionfo del Papa! E l’Episcopato, che è il grado più sublime della gerarchia e la pienezza del Sacerdozio, quale oggetto per lui d’una venerazione profonda! Non è possibile esprimere quanto gli siano intimamente cari tutti i Sacerdoti e tutti i chierici! Sono pure oggetto della sua carità e del suo zelo le anime religiose, i giusti, i fanciulli, tutti quelli che soffrono, le anime tutte in una parola, anche le più peccatrici, perché sono figlie della Chiesa.
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Il Sacerdote, dappertutto e sempre e in tutte le sue opere, è l’uomo della santa Chiesa militante (293). Per questa, infatti, direttamente e specialmente, egli è Sacerdote e ascende all’altare per l’oblazione del Sacrificio. Il Sacrificio che egli offre, è il Sacrificio della Chiesa. Dimodochè, il Sacerdote, all’altare, porta la Chiesa, offre la Chiesa, consacra la Chiesa, la costituisce Ostia con GESÙ e in GESÙ. E perché la Chiesa è il mondo intero, ecco come il Sacerdote, secondo una bella espressione di san Giovanni Crisostomo, diviene il Padre universale di ogni creatura: Quasi communis totius orbis pater est Sacerdos. Curam igitur omnium gerat oportet, sicul et Deus, cujus Sacerdos est(294).
Ciò che trovavasi in figura nella persona del Sommo Pontefice della Legge antica, i Padri l’hanno applicato, come condizione propria, ai Preti della Legge nuova. «Il mondo intero, secondo il libro della Sapienza, era rappresentato sulla veste sacerdotale del Sommo Pontefice. I nomi gloriosi dei padri vi erano scolpiti sui quei quattro ordini di pietre; e la vostra magnificenza, o Signore, era incisa sul diadema della sua testa» (Sap 18, 24); Orbene, quelle insegne gloriose erano appunto una profezia del Sacerdozio del Nuovo Testamento. «Quella veste, dice san Tommaso, quelle pietre preziose, quei nomi scritti, tutto ciò annunciava le disposizioni interiori e le virtù che i ministri del Sacerdozio vero dovevano possedere. La veste che copriva le spalle figurava la pazienza nel portare le infermità del popolo; l’ornamento del petto indicava l’obbligo di portarle nel cuore e nelle viscere con una diligente carità» (295).
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In tal modo, per verità, il Sacerdote porta tutte le anime. Ma, il rito dell’infusione dell’acqua nel Calice inclinerebbe a dire che non solamente il Sacerdote porta le anime, ma di più che le unisce a se medesimo e se le assimila in una maniera meravigliosa. Il vino è la materia necessaria; esso è dunque, in preparazione, il Sangue di GESÙ CRISTO; l’acqua rappresenta il Corpo mistico, la Chiesa, tutti i fedeli. Compiuta la Consacrazione, il Corpo naturale e sacramentale di GESÙ e il suo Corpo mistico non formano che una sola Oblazione indivisibile. Eccoci alla Comunione. Il Sacerdote si comunica sotto le due specie; egli non riceve nulla di più dei fedeli (296); ma fa qualche cosa di più dei fedeli, cioè, la Comunione col sangue di GESÙ CRISTO sotto la specie del Vino in cui è stata infusa quella goccia d’acqua. Questa Comunione, ovvero, se si preferisce, questo rito proprio del Sacerdote, non ha forse un significato misterioso? Il Sacerdote, in quella bevanda, si assimila tanto l’Ostia per eccellenza, che è il Sangue dell’Agnello, come quell’altra Ostia, inferiore nel merito, ma, in quel momento, consumata nell’unità oltremodo assoluta del Sacrificio, cioè la Chiesa. Come mai ciò che egli fa, in quel momento, sarebbe indifferente a suo riguardo? Come mai il mistero della sua unione con GESÙ CRISTO e con la Chiesa non gli sarebbe stato rivelato in una maniera sensibile e singolarmente commovente? Mentre si comunica col Sangue di GESÙ CRISTO, egli attira in sé quell’Ostia divina, e non fa più che una sola cosa con quella. Come dunque non attirerebbe pure la Chiesa nell’intimo della sua anima? Come non si assimilerebbe, se si può dir così, questa diletta Sposa di CRISTO, poiché sumendo il Sangue dello Sposo, egli riceve pure ciò che, nel vino prima della Consacrazione, rappresenta la Sposa, nell’unità del Sacrificio e del Sacramento? (297).
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Il Sacerdote e la Chiesa, sia che noi consideriamo nel Prete la dignità sacerdotale, sia che consideriamo il suo stato di Vittima, sono in GESÙ CRISTO mescolati e uniti nella più ammirabile unità. Quanto è bella dunque, la grazia del Sacerdote! Quanto sublime la condizione in cui la SS. Trinità lo ha stabilito! Quale splendore sulla sua fronte! Quale santità lo circonda!…
* N O T E *
(287) Pontif. Rom. – In ordin. presbyt
(288) De Sacerdotio, ut supra
(289) Conc. Trid., sess. XXII, cap. II.
(290) «Ricordo essere stato rivelato a Maria Crocefissa, che se molti Santi, mentre erano sulla terra, amarono Dio più di alcuni che pur erano in cielo, tuttavia i più grandi Santi sulla terra non erano così umili come lo sono le anime del Purgatorio, Non credo d’aver mai letto nelle vite dei Santi nulla che mi colpisse più di questo», FABER, Tutto per Gesù, cap. IX.
(291) Per unitatem Fidei, Sacerdos Ecclesia tota est… Quid mirum si Sacerdos quilibet… vicem Ecclesiae solus repleat… cum per unitatis intimae Sacramentum tota sit spiritualiter Ecclesia. (297) Ripetiamo il testo già citato: Cum, in altari, Ecclesia concorporalis et consacramentalis sit Christo. – ALGER. – L’abate Olier dice pure: «Il Sacerdote riceve in sé il grande Mistero di Gesù Cristo unito e consumato in una cosa sola con la sua Chiesa. Qui abbiamo il Mistero della morte mescolato con quello della Risurrezione; il Capo e i membri uniti, e uniti in comunione per nostro vantaggio. – Expl. des cérémonies, etc., livre V, chap. 1Opusc XI.
(292) S. FRANCESCO DI SALES, Lettre 185 (altrove 849).
(293) Sacerdos, publica persona et totius Ecclesiae os. – S. BERNARD. SENENS., Sermo XX. – Sacerdos personam induit Ecclesiae, verba illius gerit, vocem assumit. – GUILLELM. PARIS., De Sacr. ordinis.
(294) In Epist. I ad Timoth., Hom. VI. – Quasi mundus illi universus concreditus, atque, ideo omnium sit pater. – De Sacerdotio, lib. VI, cap. IV.
(295) Onus totius orbis portant Sacerdotes humeris sanctitatis. – S. EUCH., Homil. III.- S. TH., I, II, q. CII, art. 5.
(296) I teologi comunemente insegnano: «per accidens plus gratiae dari sub utraque specie, quam sub una». – S. Alfonso è di questo parere e dice: Non videtur reprehendendus laicus, qui desiderat esse Sacerdos, ut possit communicare sub utraque specie, quod putet plus gratiae dari sub utraque quam sub una: quia id fieri non est improbabile, etc. – Theol. mor., lib. V, tract. III, n. 28.
. XI, cap. (286) Pontif. Rom. – In ordin. presbyt.