a lato: San JOSÉ MARÍA RUBIO Y PERALTA (1864-1929), confessore
Mons. Agostino Gonon
Vescovo di Moulins
Verso le vette della Santità Sacerdotale
* * *
RITIRO DEL MESE DI SETTEMBRE
IL SACERDOTE E LA TONSURA
***
S. Paolo raccomanda a Timoteo di ravvivare la grazia della sua Ordinazione. All'Apostolo questa raccomandazione doveva sembrare di un'importanza grandissima perché la ripete due volte. Anzitutto concentra l'attenzione del suo discepolo sulla presenza e permanenza in lui di questa grazia: Noli negligere gratiam quae in te est, quae data est tibi per prophetiam, cum impositione manuum presbyterii (1Tim. 4, 12). Poi lo invita a farla rivivere: Admoneo te ut ressuscites gratiam Dei, quae est in te per impositionem manuum mearum (2 Tim. 1).
E' veramente una realtà ammirabile la grazia del nostro sacerdozio, una specie di capitale ingente che ci procura inestimabili vantaggi, ma richiede di essere sfruttato. La nostra negligenza su questo punto è causa in gran parte dell'indebolimento delle nostre sante energie.
Ricordiamo infatti che ogni sacramento, oltre la grazia abituale, infonde nell'anima una grazia caratteristica la quale, secondo l'opinione più comune, non è realmente distinta dalla prima, ma la rende effettivamente più vigorosa e conferisce all'anima stessa un diritto speciale a grazie attuali, che l'aiuteranno a vivere secondo gli obblighi e lo spirito del sacramento ricevuto.
Di questi aiuti soprannaturali noi possiamo avvalerci nella misura della conoscenza che ne abbiamo e nella carità che ci piega docili, generosi, alla loro influenza santificatrice. Pur possedendo un tesoro si è poveri quando sì dimentica, o non si sa valersene.
Importa assai che noi non ci arricchiamo continuamente sfruttando la nostra grazia sacerdotale; non ve n'è altra più ricca, perché nessun Sacramento impone doveri più gravi; nessuno esige uno spirito più elevato di quello che è richiesto dall'Ordine sacro.
Questo gran sacramento è una vetta luminosa; vi siamo giunti con la progressiva ascesa dei diversi gradi, a ciascuno dei quali era annessa una virtù propria. In tutti questi gradi il buon prete è eminente.
Ci tornerà molto utile considerare di nuovo uno ad uno questi gradi per comprenderli sempre più e sempre meglio e invocarne con ardenti voti l'attuazione perfetta nella nostra vita morale.
Incominciamo dalla Tonsura. Non è un sacramento ma un sacramentale molto solenne; esso depone nell'anima come una potente calamità che attira le grazie destinate a formare il chierico a quello spirito che lo renderà idoneo al sacerdozio. «Gli antichi consideravano sacre le sorgenti dei fiumi; la Tonsura è come la sorgente delle grazie sacerdotali» (45).
Quale deve essere lo spirito del Tonsurato e che cosa esige? Due parole compendiano tutto: morte e vita.
1. – MORTE
Quando per la prima volta partecipammo alla sublime cerimonia dell'ordinazione, prostrati ai piedi del Pontefice consacrante, lo udimmo esclamare, dopo l'invocazione dell'aiuto di Dio: Oremus, fratres carissimi, Dominum nostrum Jesum Christum pro his famulis suis, qui ad deponendum comas capitum suorum pro ejus amore festinant, ut donet eis Spiritum sanctum, qui habitum religiosis in eis in perpetuum conservet, et a mundi impedimento ac saeculari desiderio corda eorum defendat (46). Il Maestro divino dice: non potete servire Dio e il mondo. Ora, il sacerdote è il servo di Dio per eccellenza; perciò non deve più essere del mondo.
Per fare i vasi sacri destinati al S. Sacrificio della Messa, si adoperano metalli preziosi e dopo che sono stati consacrati non si possono adoperare per uso profano. Così l'uomo da trasformarsi in altro Cristo deve anzitutto divenire un essere nobile; deve quindi rendersi immune da quanto potrebbe fare di lui un essere volgare. Occorre perciò che si separi dal mondo, che non si lasci attirare dall'esca del guadagno, dall'ambizione e da qualsiasi bassa passione; che si rivesta dello spirito ecclesiastico, che è lo spirito di Gesù: Si quis Spiritum Christi non habet, hic non est eius! Lo spirito caratteristico del chierico fa giudicare ciò che gli uomini apprezzano come ne giudicava S. Paolo: Quae mihi fuerunt lucra, haec arbitratus sum propter Christum detrimento (Phil. 3, 7).
E' necessaria quindi una seconda immolazione figurata nel taglio dei capelli: l'immolazione di noi stessi.
Invero noi non amiamo le creature per se stesse, ma in ordine a noi, e vogliamo trovare noi, amare noi in esse. Nostro Signore ha posto la rinuncia personale quale condizione assolutamente necessaria per seguirlo: Abneget semetipsum (Mat. 16, 24). Ascoltiamo ancora l'Olier: «Tale cerimonia si fa dopo che il Chierico è stato rivestito della talare perché è necessario che una persona prima di padroneggiare assolutamente se stessa, prima, di dominare perfettamente le sue passioni, sia crocifissa, morta e sepolta». Ma s'intende che il Chierico deve dominare le sue passioni. «Gli si traccia sul capo una corona, dice lo stesso pio autore, per significare il dominio che egli deve avere sopra se stesso e come egli diventi padrone di quelle passioni che lo rendevano miserevolmente schiavo e che non devono ora più servire che alle sue vittorie e a dare maggior risalto alla gloria dei suoi trionfi» (47).
Questa duplice immolazione delle creature e di se stesso richiede un principio ispiratore. Sul campo di battaglia, dove gli assalti saranno frequenti, brillerà una luce. Noi scorgemmo l'astro da cui emana e sempre emanerà questa luce: il Signore; perciò dicemmo: Dominus pars haereditatis meae et calicis mei…
Dal momento in cui si lascia tutto, ci si assicura il possesso di Dio; quindi deve cessare ogni esitazione, come dev'essere soppressa ogni riserva nel dono di sé, che dovrà essere completo, assoluto, per essere giusto.
Beato il sacerdote che ha compreso l'espressione di S. Paolino: Nihil habemus nisi Christum; et vide si nihil habemus qui omnia habentem habemus (48). Questi ha conservato lo spirito della tonsura ed è veramente prete; mentre non lo è, non lo può essere chi, foggiandosi una vita borghese, procurandosi tutti i comodi di un'esistenza mondana si fa disertore dell'esercito degli apostoli veri, i quali mettono in pratica la raccomandazione del Maestro: Nihil tuleritis in via… (Luc. 9, 3).
Consideriamo bene le cose. Svaluteremmo il nostro sacerdozio se, mancanti di fede nella promessa del centuplo lasciassimo assopire il fervore del nostro primo passo verso il Santuario, fervore che, al taglio simbolico dei capelli, strappò all'anima nostra il grido generoso: Ecce nos reliquimus omnia (Mat., 19, 27).
Nonostante le riprese della natura, a dispetto dell'influenza dell'ambiente, viviamo coraggiosi il monito di S. Paolo, che per noi è assolutamente obbligatorio: Mortui estis, et vita vestra est abscondita cum Christo in Deo (Coloss. 3, 3).
2. – VITA
Abbiamo consentito a morire; il nostro capo si è piegato quasi a ricevere il colpo sacrificatore; ed ecco, erompe un canto giulivo, celestiale espressione delle meravigliose promesse di vita divina, in cambio della nostra vita umana: Hi, accipient benedictionem a Domino. E il Vescovo ci rivestì della cotta: Induat te Dominus novum hominem.
Lasciamo la parola all'Olìer:
«Quest'indumento è emblema della grande purezza, della eminente santità di vita che deve professare chi ha ricevuto la tonsura. Significa il candore, l'innocenza che deve trasparire da lui, il candore della cotta deve rendergli quasi sensibile il suo proposito di santità e di perfezione, e rimettergli costantemente dinanzi allo sguardo gli obblighi contratti.
«II Chierico così rivestito, ricorda che è entrato nella vita nuova, nella vita della risurrezione, nella vita divina di cui gli angeli e i santi in Gesù Cristo vivono nel Cielo per la gloria di Dio; questa vita divina è quella del Figlio di Dio risuscitato, nella quale il Chierico deve entrare immergendosi nell'interno di Gesù Cristo medesimo e nelle sue disposizioni, ossia nella sua religione, nelle sue lodi, nel suo amore, in una parola nello spirito del divin Salvatore glorioso e glorificante il Padre suo. Di modo che, come nel cielo l'occupazione del Figlio di Dio e quella di tutti gli angeli e beati in Gesù Cristo, è d'essere immersi in Dio per sempre, di contemplarlo senza interruzione, di lodarlo, di adorarlo e dì amarlo incessantemente nella loro innocenza e nella loro santità, così i Chierici, nella Chiesa, devono essere intenti a un tributo di lode, di amore, di esultanza perenne a Dio» 49).
Ecco spiegata la vita, frutto della morte mistica, che deve animare il Tonsurato; tale vita è una grande grazia del Signore, è la vita di Gesù medesimo: Vivo jam non ego, vivit vero in me Christus (Galat., 2, 20).
La vita è la sorgente interiore degli atti. Nell'anima di Cristo, anima al servizio di una Persona divina, questa sorgente era lo Spirito di Dio: Spiritus Domini super me… misit me (Luc, 4, 18). — Agebatur a Spiritu (id., 4, 1). Per il cristiano la sorgente è l'anima stessa del Cristo, sulla quale è innestato come il ramo sul ceppo. Il Chierico è un cristiano perfetto: s'è svincolato da tutto e da tutti per lasciarsi assorbire da Cristo: Ego in vobis et vos in me.
La linfa circola liberamente dal tronco ai rami, e tronco e rami integrandosi a vicenda, costituiscono l'albero unico e completo.
Il Tonsurato con il distacco assoluto, permette alla linfa divina dì passare dall'anima di Gesù all'anima sua; e noi sappiamo che questa linfa è lo Spirito di Gesù: Quicumque enim Spiritu Dei aguntur, hi sunt filli Dei (Rom., 8, 14). Egli forma ormai una cosa sola col vero Figlio di Dio, integra il suo essere morale: Vos autem estis corpus Christi et membra de membro (1 Cor., 12, 27); un unico soffio li avviva.
Come quaggiù durante la sua vita mortale Gesù aveva una sola occupazione, la gloria del Padre suo; come nel cielo con i suoi angeli e beati non avrà mai che una sola occupazione, la gloria del Padre; così il Tonsurato docile alla grazia della sua consacrazione, attua ogni giorno più e meglio il vivere summe Deo.
Lo dovrebbe già fare quale semplice cristiano perché, morire a se stesso per vivere a Cristo, è il compendio di tutta la perfezione cristiana. Ma, da semplice cristiano, non porterebbe il segno esterno di questo obbligo; mentre da Chierico, porta nel suo abito il suggello autentico ch'egli è interiormente rivestito dell'uomo nuovo: «La vestizione del chierico è una specie di professione» (50).
Sia dunque leale con se stesso, e, nonostante le difficoltà, sia davvero e per sempre morto al mondo, non viva più che per Dio: Quod enim mortuus est peccato, mortuus est semel; quod autem vivit, vivit Deo (Rom., 6, 10). –
Programma così sublime non lo si attua senza difficoltà, né senza sforzo incessantemente rinnovato. Ma sul nuovo milite di Cristo si libra sempre, presagio di benedizione perenne, l'efficacia della preghiera del Pontefice che accolse il suo Dominus pars e che in quel momento disse a Dio: Omnipotens sempiterne Deus, propinare peccatis nostris… ut sicut similitudinem coronae tuae eos gestare facimus in capitibus, sic tua virtute haereditatem subsequi mereantur aeternam in cordìbus.
— Rinnoviamoci nelle disposizioni della nostra tonsura, ossequienti dal profondo del cuore al monito del Vescovo: Habitu honesto. bonisgue moribus atque operibus. Deo placere studeatis. E sperimenteremo senza dubbio quanto cantammo già con giovanile entusiasmo: Funes ceciderunt mihi in praeclaris! Siamo della Chiesa, siamo di Cristo: non si è mai così felici come quando si è quali si deve essere.