Mateo Crawley-Boevey SS.CC.
(1867-1960)
RITIRO SACERDOTALE
Adveniat Regnum tuum!
LA VIA REGALE DELLA SANTITÀ SACERDOTALE
Ego Sum Via (Jo. 14,16)
Non è sufficiente esporre e fondare bene i principii, è necessario inoltre sapere appianare la via per la loro applicazione. È indispensabile donare del coraggio e delle ali perchè siano praticati.
Il ritiro serve sopratutto a questo fine. La grandezza del sacerdozio e la vostra missione sacerdotale esigono da voi tutti la santità. Tale il tema della mia ultima conferenza. Ma io conosco molti sacerdoti che, mentre accettano la bella teoria, praticamente vivono nello scoraggiamento e, perciò, nella negligenza abituale, al momento di dover fare la applicazione di quei principii alla loro vita quotidiana. Permettetemi, dunque, di rinforzare questo principio fondamentale dimostrandovi, non dico la facilità, ma la perfetta semplicità con la quale Dio vuole che noi ci santifichiamo nella via regale della nostra vita quotidiana.
Io affermo che, se per ragione della mia altissima dignità e della mia missione ho il dovere di tendere alla perfezione e di lavorare per divenire santo, io lo posso certamente conseguire, perchè non vi sono dei doveri impossibili.
«Pensare il contrario, dice l'abate Marmion, dimostrerebbe una mancanza di dottrina e anche un peccato di pusillanimità inescusabile per un prete».
Ma quale è, dunque, la via da seguire, il cammino provvidenziale che il prete deve percorrere per realizzare questa ascensione spirituale? In altri termini, come divenire un vero santo, restando là dove la volontà del Signore mi ha messo?
Il Card. Mercier risponde con una dottrina degna della sua autorità: «Vivendo integralmente il nostro sacerdozio». Ed aggiunge: «Noi non crediamo abbastanza alla potenza della grazia del nostro carattere sacerdotale. Questa grazia è di una tale potenza ed efficacia che, senz'altro, il sacerdote veramente fedele ad essa può divenire l'uomo di Dio, un santo».
Infatti, il Sacramento dell'Ordine che mi eleva alla dignità unica di Cristo, dovrà poter realizzare in me ciò che tale dignità esige da me. E questa prima esigenza, la principalissima, è che io non sia già una somiglianza di Cristo, non già un Cristo diminuito, ma il Cristo integrale.
In virtù, pertanto, dell'«ex opere operato», il Sacramento dell'Ordine mi conferisce, insieme al carattere e al potere sacerdotale, la grazia sufficiente per essere all'altezza della mia dignità, ossia per santificarmi. In conseguenza è «ex opere operantis» che si dovrà perfezionare e sviluppare in me il germe di santità sacerdotale che il Sacramento vi ha deposto.
Perché non dobbiamo dimenticarlo: la nostra sublime dignità, nel disegno di Dio, non la costituisce esclusivamente il carattere sacramentale, ma anche ciò che questo carattere suppone come coronamento accidentale e morale, ossia quella perfezione intima e soprannaturale che consiste nel saper vivere il nostro sacerdozio.
In questo senso, che è il solo vere, si può affermare che l'Ordinazione è sempre un appello solenne e ufficiale alla santità, senza la quale il sacerdozio resta in gran parte inefficace.
Ma allora, ecco che nasce da questo principio, con ogni evidenza, la conseguenza che il Maestro che mi chiama alla santità mi offre nel medesimo Sacramento tutta la grazia indispensabile per realizzare pienamente in me la sua volontà. Questa grazia mi è dovuta per la Sapienza, la Giustizia e l'Amore del SIgnore che mi vuole totalmente suo prete. Lui, che mi deve la grazia, me la vuole donare anche bella e abbondante, poichè egli sà che la mancanza della mia santità sacerdotale, rovinerebbe, ahimé!, il tesoro del mio sacerdozio, e potrebbe anche renderlo nefasto per me e sterile per le anime. Basandosi su tali ragioni, Sant'Efrem afferma: «Sacerdotium esse miraculum stupendum, potestatem ineffabilem: coelum attingere, cuni angelis versari, cuni Deo familiariter agere».
Crediamo, pertanto, sempre con immensa fede alla grazia meravigliosa del nostro Sacerdozio.
E adesso, discendendo alla pratica, permettetemi qualche riflessione incoraggiante e solida in rapporto al nostro dovere di santificarci.
Come sviluppare la grazia del nostro sacerdozio fino a quella pienezza di vita divina che chiamiamo santità sacerdotale ?
Tutto questo lavoro noi possiamo ridurlo a una duplice azione, alla portata di ogni prete di buona volontà.
In primo luogo l'esercizio stesso del nostro sublime ministero dovrà essere, secondo i disegni di Dio, santificante del medesimo sacerdote più che ogni altra cosa: donare Dio, è sempre un arricchirsi di Dio! Infatti la prima grazia di ogni apostolato è, con giustizia, in favore dell'apostolo stesso. Così, predicando o distribuendo la S. Comunione, il Signore che voi date alle vostre pecorelle, ritorna cento, mille volte in voi, avendo le disposizioni volute, in ricompensa di quello che voi fate per Lui.
Non è il caso, di Maria che, anche Lei, divenne più ricca del suo Gesù mentre ci donava Gesù ? Sì, più ricca che, il 25 marzo, Essa lo è il giorno di Natale; e molto Più ricca di Gesù che nella Grotta di Betlemme lo è quando ce lo dona sul Calvario.
Lo stesso per voi: l'amministrazione dei sacramenti, l'evangelizzazione del vostro popolo, le opere e i lavori del vostro ministero, tutto, assolutamente tutto il vostro apostolato diviene un tesoro immenso di grazia santificante, prima di tutto per voi stessi che ne siete gli strumenti docili.
Questo, però, a una condizione indispensabile: ossia, che voi siate preti e restiate sempre preti, e non diventiate giammai delle macchine sacerdotali o dei semplici funzionari ecclesiastici.
Esiste, non dubitatene, un contratto tacito, ma effettivo, tra il Maestro della vigna e i suoi vignaioli. Eccolo: le primizie e una forte percentualità del prodotto spetta all'amministratore, -che è ciascuno di noi. In altri termini è ciò che dice S. Paolo: «Chi serve l'altare, vive dell'altare» (I Cor. 9,13). Se egli diceva questo mentre faceva allusione agli onorari materiali dovuti all'apostolo,, nulle volte di più si potrà dirlo nel senso spirituale della compensazione e della ricompensa dei servizi che il sacerdote fa al Signore attraverso le anime: «mihi fecistis» (Mth. 25,40).
Non è stato detto sempre che la carità fatta al povero ritorna cento volte allo stesso benefattore? Che dire allora di quest'altra carità eminente che il prete fa alle anime, e alle anime più tribolate? Perchè i predicatori non insistono su questo tema così bello, così confortante, così vero, quando, parlando dell'azione apostolica, fanno conoscere solamente l'onore del nostro carico e il profitto delle anime, e raramente la parte che ritorna a beneficio dello stesso apostolo ?
Ecco perchè se io vi ho già detto: diventate dei santi per essere degli apostoli, ora aggiungo: siate apostoli per diventare dei santi.
Evidentemente tutto questo dipende dal senso soprannaturale e dalla generosità intima e personale del sacerdote che esercita il ministero. Oh ! sì, assimiliamo Cristo: mentre lo doniamo alle anime, perchè il primo battito del suo Cuore è per noi, suoi amici, per noi, suoi apostoli!
Infine, io arrivo all'idea che può, forse, essere la più consolante della vita spirituale e della vita sacerdotale: sapere che noi possiamo divenire santi e dei grandi santi con la vita assolutamente semplice e normale del compimento del dovere quotidiano. Ossia sulla base di una vita interiore solida, vita di fede e di preghiera, il secondo elemento di santificazione è la nostra vita quotidiana con tutta la semplicità, la bontà e la monotonia di Nazareth. Là dove la Provvidenza ci ha collocato, senza nulla cambiare, senza nulla aggiungere al programma dei nostri doveri, se non un'anima piena di gran fede e una fiamma di divina carità, noi possiamo e dobbiamo diventare tutti dei veri santi.
Io lo so, vi sono, come dice Don Columba Marmion, «delle intelligenze talmente ristrette che si sentono scandalizzate della semplicità di questo piano divino». Sono coloro che confondono sovente la missione e il cammino con la vita del santo, e che non concepiscono la santità senza il rumore dei miracoli e senza l'aureola dei carismi.
Costoro hanno dimenticato che niente non manca alla santità di Maria a Nazareth, nonostante che sia senza estasi e senza prodigi. Ella, la unica perfettamente santa, fu certamente la più piccola e la più semplice delle creature, che viveva la sua vita nell'ombra e realizzava così in una maniera meravigliosa la volontà del Signore.
Ei questa divina volontà, che è di per se stessa santificante se noi la sappiamo abbracciare e realizzare, particolarmente in due punti che costituiscono il tessuto della nostra vita quotidiana: Il dovere dello, stato, che per noi preti, è nettamente definito. Ma un dovere di stato compiuto non già filosoficamente o stoicamente come possono farlo un soldato o un pagano, ma con amore e per amore del divin Crocifisso.
In secondo luogo, con le mille piccole e grandi croci inerenti al nostro stato e che io chiamo la penitenza classica per eccellenza della nostra vita, tale come Gesù l'ha voluta per ciascuno di noi, ossia con una vita di continua immolazione.
Migliore, mille volte migliore che tutti i cilizi e i digiuni, ecco sopratutto per voi, preti, una austerità che avendo le maglie serrate e le punte di fuoco, può fare dì voi dei grandi penitenti. Se voi non fate altre penitenze che quelle che il Signore vi manda ogni giorno, ma le fate con un cuore traboccante d'amore, credetemi, i penitenti del Convento non avranno davanti a Dio un merito più grande del vostro.
Oh! amate di un immenso amore la croce santissima del vostro stato, non trascinatela! Anche se è un grave peso, è il peso delle ali che vi faranno elevare.
Senza penitenza, niente santità. E la dose di penitenza provvidenziale che Gesù ha già riversato nel calice di gloria e di immolazione di ogni vero prete, è ampiamente sufficiente, sia per santificarvi che per rendere fecondo il glorioso vostro apostolato.
Ritorniamo ai grandi principii e alla meditazione della lezione incomparabile che è per noi Nazareth! Voglio dire, marciamo sulle tracce dì Gesù, di Maria, di Giuseppe, questa augusta Trinità della terra!
Noi non abbiamo niente da inventare per arrivar a essere dei santi. La strada è tutta tracciata davanti a noi. Ed è Gesù Cristo, la Santità per essenza, che ci grida ogni momento: «Venite post me… exemplum dedi vobis… Ego sum via» (Mth 4,19 e Jo. 13,15 e 14,6).
Ah! pensate che il Verbo incarnato ha voluto precisamente vivere interamente la nostra vita, rifarla tutta nella sua, farla scaturire dalla sua, molecola per molecola, per rendere più semplice e ben realizzabile il grande dovere della santità cristiana e sacerdotale.
Dopo Nazareth, dunque, niente ci rimane ancora di volgare e di piccolo nella vita. Sopratutto nella vita del prete, altro Cristo, tutto è grande, tutto dovrà essere divino e santo, se la nostra fede è ardente, se il nostro amore è bruciante.
La vetta non si trova peraltro nè fuori nè lontano da questa vita semplice di Nazareth, la vetta è la stessa meravigliosa semplicità di Nazareth. Non cercate, dunque, la perfezione sognando altre strade, cercatela dentro del quadro, ordinario in apparenza, della vostra vita, cosi come l'hanno vissuta, spossante ed aspra, con delle graduazioni diverse, S. Paolo e S. Francesco Saverio. La vostra perfezione stà lì, nient'altro che lì, perchè tale è la volontà di Dio. Confessiamo che questo lo avevamo abbastanza dimenticato o poco compreso e sopratutto che esso ci è stato predicato troppo poco, generalmente. Io ho trovato tanti preti buoni, anche istruiti, ma per i quali questa dottrina aveva l'incanto di una felice scoperta, di una vera novità, novità che data da Nazareth!… che viene dal Vangelo!…
Sì, non si è ancora sufficientemente detto e ridetto che un prete, qualunque sia, nella posizione la più ordinaria, che non fa altro che vivere, ma in pieno, il suo sacerdozio, donando tutto il suo cuore a Gesù Cristo e alle anime, può essere veramente un santo e anche un gran santo agli occhi di Dio.
Non si è ancora abbastanza predicato ai giovani leviti, che bruciano di grandi desideri, che possono essere santi anche senza carismi e senza le austerità spaventose di un Curato d'Ars, ma santi come lui. Che si può essere santi senza le estasi all'altare di un S. Bernardo o di un S. Filippo Neri. Che si può essere uomini di Dio e grandi santi senza i prodigi di Vincenzo Ferreri e senza una vocazione eccezionale come quella di Carlo de Foucauld. Che si può essere santi e grandi santi, apostoli ben completi, senza i doni straordinari che accompagnarono la predicazione di S. Francesco Saverio, alla condizione di avere la sua anima di fuoco, la sua carità.
Le vie sono spesso differenti, ma sempre non è che la volontà di Dio abbracciata con amore, che fa i santi, si tratti della grande e meravigliosa Teresa d'Avila, o della non meno, meravigliosa Teresa di Lisieux nella sua «piccola via» di Nazareth.
Niente di più, nè di più solido, nè di più proprio che questo principio per un ritiro sacerdotale, dove ci si viene appunto per ritemprare il proprio spirito nello spirito del Cuore di Gesù, e per prendere quelle energie novelle che ci daranno la forza necessaria per il cammino verso la montagna, «duc in altum»! (Luc. 5,4).
Io insisto: ciò è stato troppo dimenticato, ed ecco perchè la Provvidenza, sempre vigilante e saggia, ha fatto risuonare a piena voce il campanone di Lisieux… Guardate come il cielo ha scatenato attorno a quella fanciulla, cara a tutto il mondo, un vero uragano di miracoli, per ricordare ai teologi e ai semplici questa grande dottrina: che si può essere santi non importa in quale via, e che si diviene certamente grandi santi nella via della semplicità e della piccolezza, alla sola condizione di amare di un immenso amore; che le cose più piccole della vita quotidiana diventano grandi e preziose come delle stelle, quando la carità le brucia e trasforma; che la santità non consiste nel fare le cose non comuni, ma nel fare le cose comuni con amore straordinario.
Pio XI l'ha ufficialmente dichiarato: Teresa di Lisieux è ben la voce di Dio che guiderà le anime consacrate, e sopratutto i sacerdoti suoi fratelli, e i missionari suoi prediletti, sul cammino, dell'ascesa, ma per «la piccola via» di Nazareth.
Più e meglio del magnifico alveare della Tebaide, meditate, oh! meditate Nazareth che è assai più alla vostra portata! Ecco la santità più santa, quella di Maria e di Giuseppe, ed anche la più sicura, poichè essa non si presta a illusioni!
Il Maestro vi chiama dicendovi imperiosamente: «venite post me… exemplum dedi vobis… Ego sum via… Estote perfecti …!»
RISOLUZIONI PRATICHE: Lasciando risolutamente da parte tutto quello che può condurre tanto alla illusione come allo scoraggiamento, e ben decisi a santificarvi, prendete il cammino, provvidenziale di Nazareth, ossia il compimento perfetto dei doveri del vostro stato. È là, solamente là, che il Signore vi aspetta per fare il cammino con voi e colmarvi delle sue migliori grazie.
Santificatevi, pertanto, con la vostra meditazione quotidiana, con la confessione metodica e frequente e con la recita «attenta e devota» del Santo Breviario.
Santificatevi nell'esercizio rude e monotono del ministero, quale la Chiesa e l'obbedienza vi hanno indicato.
Santificatevi nelle gioie e nei disgusti, nelle consolazioni e nelle contrarietà che l'apostolato non manca di procurare ad ogni prete.
Santificatevi, là, sulla strada battuta, malati o in piena forza, nell'abbondanza e nelle ristrettezze, incoraggiati o criticati… sempre benedicendo e facendo in tutto la santa volontà di Dio.
Santificatevi fra le mille piccole cose, che solamente in apparenza sembrano banali, ordinarie, ma che formano il tesoro del sacerdote veramente soprannaturale.
Santificatevi sopratutto con la celebrazione diligente e molto devota dei Santi Misteri dell'Altare, e santificatevi anche per essere meno indegni di salirvi.
Sacerdoti! Avanti, coraggio, ascendete continuamente, sulle orme di Gesù, di Maria, di Giuseppe a Nazareth! Là tutto è grande, tutto, quando la fede è grande! Là tutto è divino, celeste, quando l'amore è bruciante!
Veni Sancte Spiritus!
Adveniat Regnum tuum!
testo tratto da: P. Matteo Crawley SS.CC., Ritiro Sacerdotale, Grottaferrata – Trento, 1958, pp. 80-92.