L’AMORE VERSO GESÙ, NOSTRO CAPO E NOSTRO RE

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P. SILVIO MARIA GIRAUD
MISSIONARIO DELLA SALETTE

 

SACERDOTE E OSTIA

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LIBRO SECONDO. 
    Della comunicazione che nostro signor Gesù Cristo fa al suo sacerdote del suo sacerdozio, del suo stato di Ostia e delle sue disposizioni
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CAPITOLO SEDICESIMO. L'AMORE VERSO NOSTRO SIGNORE GESÙ CRISTO NOSTRO CAPO E NOSTRO RE

 

 

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Nostro Signore GESÙ CRISTO, infinitamente amabile come Sacerdote e Ostia, merita ancora il nostro amore in quanto è il nostro Capo e il nostro Re.

Come nostro Capo: in primo luogo, perché in tale qualità, Nostro Signore è il Principio e la causa della nostra Predestinazione. Abbiamo già esposto questa verità. Ricorderemo qui soltanto queste parole di san Paolo: Cum essemus mortui peccatis, convivificavit nos in Christo, et conresuscitavit, et consedere fecit… coelestibus in Christo Jesu (360). Non è già forse per noi una gioia immensa, fare una cosa sola con GESÙ CRISTO in tutti i suoi Misteri? Ma ci viene assicurata una gloria ben più prodigiosa, ne abbiamo il pegno e già la possediamo in sostanza: è la gloria del cielo. Il nostro Capo la possiede, ma non la possiede solo; è salito al cielo «a prepararci il posto» (361). Quale non deve essere il nostro amore per il nostro Dio, la nostra Vittima e Ostia, per essersi degnato di essere, in pari tempo, il nostro Capo? Egli, nella sua carità ha operato meraviglie che non avremmo giammai potuto concepire, e che ancora ci lasciano quasi un po’ incerti, tanto le tenerezze di Dio, a motivo dei loro eccessi, sorprendono le nostre povere intelligenze. San Paolo nota espressamente questi eccessi, immediatamente prima di rivelarci che il nostro Capo è causa della nostra predestinazione. Deus autem(Ef 3, 20-21)., dice l'Apostolo, qui dives est in misericordia propter nimiam charitatem suam, qua dilexit nos… qui potens est omnia facere superabundanter quam petimus aut intelligimus, etc.

Nella sua qualità di Capo, nostro misericordioso Redentore non solamente è la causa della nostra predestinazione, ma pure, con un influenza che non cessa mai, ce ne porge costantemente il pegno; e questo pegno è costituito dalla sua divina grazia, ossia, dall'azione incessante dello Spirito Santo che abita in noi e continuamente ci porta a compiere opere di vita, degne del nostro Capo che è la vita. Il primo nostro Capo, Adamo, ha esercitato sopra di noi un influsso mortale; e questo si continua in noi con la concupiscenza che rimane anche dopo il Battesimo. Il nostro secondo Capo, ben più potente per darci la morte, infonde continuamente nelle anime nostre la vita «con lo Spirito Santo che abita in noi». Infatti, questo Spirito di GESÙ CRISTO nostro Capo, è spirito di vita; è il principio di ogni preghiera gradita al Padre e da Lui esaudita; ci conduce e ci dirige, nella nostra qualità di figli di Dio. Egli stesso ci dà il potere di invocare con merito il nome di GESÙ, e la virtù di confessarlo con forza e costanza davanti agli uomini. Sotto la sua azione, l'anima nostra produce ogni sorta di frutti soprannaturali. Infine, siccome Egli è «il pegno dell’eredità, il sigillo della promessa» della vita eterna, Lui ancora risusciterà i nostri corpi mortali» (362).

Nella sua qualità di Capo, GESÙ ci dona il suo Spirito, il quale sempre opera in noi e ci rende simili a Lui. Come il Figlio è l'immagine del Padre, così lo Spirito Santo è l'immagine del Figlio, e ci vien dato, onde ci comunichi i lineamenti del Figlio, ci segni col sigillo di Lui, e infonda nelle nostre anime, in una maniera incancellabile, la spirituale unzione della divina grazia (363).

Dobbiamo amare ancora Nostro Signor GESÙ CRISTO come nostro Capo, perché in questa qualità Egli ha stabilito la Chiesa con l'ammirabile unità del suo Corpo mistico, e quella meraviglia della sua divina grazia che si chiama la comunione dei Santi. Dimodochè, ci rende partecipi per mezzo del suo Spirito, di tutti i suoi meriti, e di tutte le sue grazie, e parimenti, in tale qualità, sempre col suo Spirito di carità, ci rende pure partecipi dei meriti e delle grazie dei Santi tutti. Di questo mistero parlava san Paolo, quando diceva: Omnia vestra sunt; e ce ne rivelava l'origine in questo modo: Sicut enim corpus unum est, et membra habet multa, omnia autem membra corporis… unum tamen corpus sunt; ita et Christus» (1 Cor 3, 22; 12, 12). San Prospero così conclude: Ex multis membris unum corpus efficimur, dum sive in pluribus, sive in singulis unus est Christus, quia et Caput in compagine et compago omnis in Capite (364).

Ecco il solido fondamento, il principio e il motivo della nostra mutua carità. Noi siamo una cosa sola in GESÙ CRISTO nostro Capo, e, in virtù di tale unità, tutto ci diviene comune tutti i beni di Maria SS. e di tutta la Chiesa del Cielo, tutti i meriti delle umili anime del Purgatorio e tutti quelli dei giusti della terra; e non v'è nessuno che non abbia parte a tante ricchezze. Poiché lo Spirito Santo le distribuisce. l'amore è il vincolo universale delle anime (In Psalm., 127). Così sempre si verifica nel Corpo mistico in un modo sublime ma vero, quella parola che si diceva dei primi cristiani: Multitudinis credentium erat cor unum et anima una (At, 4, 32).

O Dio! Quali prove della carità del nostro Redentore, Sacerdote, Ostia, Capo del Corpo mistico! Quanti motivi, per tutti i fedeli, di amarlo! Quanti motivi specialissimi e pressanti per noi, Sacerdoti! Noi, infatti, siamo legati a GESÙ, nella sua qualità di Capo, in modo eminente; sia perché sopra di noi, per mezzo del suo Spirito, si esercita con maggiore abbondanza la sua influenza, avendo noi da ricevere dalla sua pienezza molto più degli altri; sia perché, secondo quelle parole di san Tommaso già citate, «noi siamo rappresentanti, di Dio, non solamente in ciò ch'Egli è in se stesso, ma in quanto influisce sopra tutta la Chiesa».

Eccoci dunque legati a Nostro Signore con vincoli di amore oltremodo più forti e più stretti che le anime le più sante nella Chiesa. Oh! piaccia a questo Capo tutto amabile di farcelo intendere e di esercitare in noi, col suo Spirito, la sua influenza con tale una efficacia che la nostra vita sia tutta di amore per Lui!

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Infine, dobbiamo amare Nostro Signore GESÙ CRISTO come nostro Re. – GESÙ CRISTO è Re perché è Sacerdote e Ostia; noi siamo, infatti, «un popolo di conquista» (I Pt, 2, 9), ed è col suo sangue che ci ha conquistati». (At 20, 28). Perciò, sant'Agostino dice: «Egli è Vincitore, perché fu Vittima» (365). Il titolo di Re è quindi un titolo che non parla che di amore. Ma questo titolo ha pure la sua origine nella qualità di Capo, secondo sant'Ireneo: «Portando in sé l'universalità delle anime e degli spiriti, il Verbo incarnato è il loro Principe e il loro Re; ma Egli ha pure pieno potere sopra tutte le cose visibili e corporali, perché nella sua persona possiede il principato, e da se stesso si è costituito Capo della Chiesa» (366). Orbene, siccome per amore Egli si è costituito nostro Capo, così, ancora e sempre, l'amore è la causa e la regola del suo titolo di Re.

San Paolo diceva: Oportet illum regnare; e soggiungeva: Magnificat Christus in corpore meo, sive per vitam, sive per mortem (I Cor 15, 25; Fil 1, 20). E ancora: «Sono disposto a tutto, anche a morire per il nome del Signor GESÙ» (At 21, 13). Ecco gli ardenti accenti che convengono ad un'anima veramente sacerdotale. San Paolo ci insegna che al Sacerdote è affidato il trionfo di GESÙ CRISTO. Senza il nostro fervore e il nostro zelo, il suo regno si restringe; con l'opera nostra invece si dilata. Orbene, come il grande Apostolo e come «tutti i suoi fratelli, gli Apostoli delle Chiese, noi vogliamo essere gloria Christi» (2 Cor 8, 23).

Ma, innanzi tutto, dobbiamo ricordarci che il primo esercizio del nostro amore per la gloria del regno di GESÙ CRISTO deve consistere, prima di ogni altra cosa, nel costituirlo Re, Padrone e Sovrano di tutta la nostra persona. Quando preghiamo o stiamo davanti al SS. Sacramento, non contentiamoci di domandare al nostro misericordioso Signore, la sua benedizione per le nostre azioni, le opere e le nostre fatiche. Nella disposizione di voler unicamente ciò che a Lui piace, sottomettiamogli, in tutta realtà, ogni pensiero, ogni atto, ogni proposito. Riconosciamo sempre la sua assoluta e sovrana padronanza, e insieme l'infinita sapienza e l'adorabile misericordia del suo governo. Non faremo mai nulla, neppure una predica, un catechismo, una visita, uno studio, senza tutto subordinare al volere e al desiderio di Nostro Signore. Tale spirito di filiale, amorevole e umile soggezione sarà per noi fonte di grazie copiosissime.

Dobbiamo pure abbandonare in modo assoluto, al nostro Re GESÙ, la nostra sanità, il tempo tutto della nostra vita, e l'ora della nostra morte. Possiamo, certamente, domandare quanto ci abbisogna di forze e di tempo per lavorare alla sua gloria; ma in fondo alla nostra preghiera vi sia sempre un abbandono tranquillo, semplice e amoroso, nelle mani del nostro Sovrano Signore, di ogni cosa che ci riguarda; convinti come siamo che Egli si degnerà di disporre della nostra persona e della nostra vita, secondo i suoi disegni sempre amabili e per il maggior bene dell'anima nostra.

In tal modo, noi faremo regnare Nostro Signore il1 noi: Egli regnerà in quel mondo che è l'interno dell'anima nostra. Egli regnerà pure nella nostra condotta esterna, mercé la nostra prudenza e l'edificazione che porgeremo ai fedeli (367).

Ma il campo vastissimo dove si eserciterà liberamente il nostro amore per il nostro Re GESÙ, sono gli esercizi dello zelo. Nelle anime, magnifico punto di vista! non dobbiamo veder null'altro che gloriosi elementi del trionfo di GESÙ CRISTO, dimodochè il nostro compito nel salvarle, sia di fare in pari tempo e innanzi tutto di ciascuna di esse un trofeo di gloria ad onore del nostro amato Re; e così cooperare al compimento di tutti i disegni ed intimi desideri del suo Cuore così buono, la dolce soddisfazione e il trionfo perfetto ai quali ha tanti diritti (368).

In tal modo, nel trattare con tutte le anime di qualsiasi età o condizione, e in tutte le opere più comuni come più appariscenti, saremo veri operai della gloria di GESÙ CRISTO. Pro Christo legatione fungimur (2 Cor 2, 15; 6, 8-10; 5, 20). «Bisogna che GESÙ CRISTO regni; bisogna che GESÙ CRISTO cresca!» (Gv 3, 30). Ecco il grido, ecco la grande ambizione, il bisogno imperioso, potente e sempre più pressante del cuore del Sacerdote! E l'essenziale non è già che la gloria di GESÙ CRISTO sia il frutto delle sue fatiche e del suo proprio genio: l'essenziale è che GESÙ CRISTO sia glorificato: Quod enim? Dum, omni modo… Christus annuntietur: et in hoc gaudeo sed et gaudebo (Fil 18).

Questo amore del trionfo di GESÙ CRISTO Re delle anime non si limita al mondo presente; il buon Sacerdote lo porterà sino alla grande e solenne scena del Giudizio universale. Ai giusti allora verrà detta quella parola: «Venite, o benedetti dal Padre mio…». Certamente il Sacerdote vuole aver parte a quella benedizione eterna; perché ad ogni costo, vuole assicurare la salvezza dell'anima propria. Eppure, un'altra ambizione prevale su tutto. Il Sacerdote vuol essere chiamato col nome di «benedetto del Padre », ma non è questa benedizione l'oggetto principale della sua gioia. E, come? cosa vuol dir questo?.. Ah! ciò che egli vuole e ambiziona sopra ogni cosa, ciò che riempie il suo cuore di ardori intensi, vivi e appassionati, è il pensiero che, in quel giorno, davanti all'intero universo, e sotto lo sguardo di Maria, egli sarà per GESÙ un trofeo di onore e di gloria; dimodochè GESÙ potrà dire, con gioia, davanti all'universo: «Ecco un'anima sacerdotale nella quale ho trionfato!» (2 Ts 1, 10).

O glorioso, felice e splendido trionfo del CRISTO GESÙ, Dio, Sacerdote, Ostia, Capo e Re! con quale ardore vi desidero e vi aspetto!

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NOTE

(360) Ephes., II, 5, 6. – Notiamo questo bel testo di sant'Ignazio di Antiochia: Per crucem, Christus in passione sua invitat nos, existentes membra ipsius. Non potest igitur caput nasci sine membris, Deo unionem repromittente, quod est ipse. – Epistol. ad Trallian, cap. XI.

(361) JOANN., XIV, 2. – Non praeter spem esse debemus; imo cum magna fiducia praesumere, quia si per caritatem ipse nobiscum in terra est, per eamdem caritatem et nos cum eo in caelo sumus. – S. AUG., in Psalm., CXXII.

(362) Rom., VIII, II, 14, 29. – I Cor., XII, 3. – Ephes., I, 13, 14. – Galat., IV, 6; V, 22, 23. – MATT., X, 20.

(363) Unio cum Deo non aliter in quoquam esse potest, quam per Spiritus Sancti participationem inserentis nobis propriam sibi sanctificationem, et ad suam vitam reformantis subjectam corruptioni naturam, atque ita ad Deum et ad Dei formam gloria ista privatos revocantis. Imago enim Patris perfecta. Filius est, similitudo vero naturalis Filii est Spiritus ejus. Idcirco, transformans in seipsum quodam modo hominum animas, divinam in eis similitudinem imprimit, et supremae omnium substantiae effigiem insculpit. – S. CYRILL. ALEX., In Joann. Evang., XI, 11.

(364) Vult esse suos unum, sed in ipso; quia in seipsis non possent, dissociati ab invicem per diversas voluptates et cupiditates et immunditias peccatorum; unde mundantur per Mediatorem, ut sint in illo unum. – S. AUG., De Trinit., lib. IV, cap. IX.

(365) Confess., lib. X, cap. XLIII.

(366) Contra Haereses, lib. III, cap. XVI.

(367) Serva corpus et membra Christi… Oculi tui, ocuIi Christi sunt: non licet tibi oculos Christi ad aIiquas vanitates conspiciendas dirigere; …os tuum os Christi est; …sic de caeteris Christi membris tuae custodiae commissis intellige. – S. ANSELM., Meditat. I.