P. SILVIO MARIA GIRAUD
MISSIONARIO DELLA SALETTE
SACERDOTE E OSTIA
LIBRO SECONDO.
Della comunicazione che nostro signor Gesù Cristo fa al suo sacerdote del suo sacerdozio, del suo stato di Ostia e delle sue disposizioni
CAPITOLO QUATTORDICESIMO. L'amore verso nostro Signore Gesù Cristo Nostro Dio e Nostro Sacerdote
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Nostro Signor GESÙ CRISTO è la Gloria grande e veramente, unica del Padre. Il Sacerdote con la purità dei suoi sentimenti, la religione, lo zelo e tutte le opere sante del suo Sacerdozio, è pure anch'esso la Gloria del Padre. Perché? Perché vive nella più intima ,e stretta unione con GESÙ CRISTO, perché è davvero un altro GESÙ CRISTO!… Ma in qual modo si compie questa unione, questa divina unità? Per mezzo dell'amore (338); e chi deve amare GESÙ CRISTO, come il Sacerdote?
L'amore verso Nostro Signor GESÙ CRISTO!… qual argomento! soprattutto quando si deve trattarne in modo conveniente ad anime sacerdotali! Tutto quanto si potrebbe dire, anche in un convegno di Gertrudi o di Terese, sarebbe poco per i Sacerdoti. Questi sanno benissimo che, a buon diritto, più di qualsiasi persona, possono applicare a se stessi quelle parole ardenti di san Paolo: Mihi vivere Christus et mori lucrum… Charitas Christi urget nos… Quis nos separabit a Charitate Christi(339).Christi divinitas, vita est; ipsius aeternitas… caro… passio… mors… vulnus, vita est. Accedite ad eum et satiamini, quia panis est: potate, quia fons est, illuminamini, quia lux est (340).Vi sono pure altri testi dei Padri, e numerosi, sull'amore che merita Nostro Signore, sopra ciò ch'Egli è per le anime, sull'unione perfettissima che deve esservi tra questo unico Tutto e le sue creature redente dal suo Sangue; e tutti convengono al Sacerdote in un modo oltremodo sublime, eccezionale e assoluto. Il Sacerdote animato dall'amore tende egli medesimo all'unità. Non deve esservi distanza tra lui e GESÙ CRISTO, ma bisogna che si perda in quel centro, in quella vita, in quell'Essere di GESÙ CRISTO. «La divisione è stata la nostra rovina, dice sant'Agostino, ma liberati, per la misericordia divina, dalla molteplicità, noi andiamo a Colui che è unità» (342); GESÙ CRISTO, vivendo Egli stesso in noi, diventa l'unica vita nuova della quale vogliamo vivere. Tale unione veramente ineffabile, che più giustamente sarebbe da chiamarsi unità, è così bene la vita del Sacerdote, che non si potrebbe più dargli questo nome quando non vivesse dell'amore con cui si opera l'unione (343).?..
Sant’Ambrogio diceva: Jam non vitam nostram, sed Christum vivimus…
E san Paolino da Nola: Sibi habeant sapientiam suam philosophi, sibi divitias suas divites, sibi regna sua reges; nobis gloria et possessio et regnum, Christus est… Ergo illum amemus, quem amare debitum est; illum oseulemur, quem osculari castitas est… illi subjiciamur, sub qua jacere super mundum stare est; propter illum dejiciamur, cui cadere resurrectio est; illi commoriamur, in quo vita est, in quo et mortui vivimus (341).
Nostro Signore medesimo ci rivelava questo magnifico Mistero. Mentre stava per uscire dal Cenacolo onde portarsi all'orto degli Ulivi, Egli rivolgeva al Padre suo questa bella preghiera: Pater juste… ut dilectio, qua dilexisti me, in ipsis sit, et ego in ipsis (Gv 17, 26). O Dio! quali meravigliosi splendori! Quell'amore medesimo con cui il Padre ama il Figlio, è quello stesso con cui noi amiamo il Figlio, e allora il Figlio è in noi! Ma qual'è dunque quell'amore con cui il Padre ama il Figlio? Qual'è la potenza, la tenerezza, la costanza di un tale amore, e la compiacenza che il Padre trova nell'amare il figlio suo? Qual'è l'effusione del Padre nel Figlio, e l'unità che si compie in questa effusione infinita ed eterna? È lo Spirito Santo medesimo; non un atto divino a guisa dell'atto creatore, ma una Persona divina, immanente, sostanzialmente una col Padre e col Figlio; lo Spirito Santo è quell'amore, quella potenza, quella tenerezza, quella costanza, quella effusione infinita ed eterna, quella unità adorabile. Lo Spirito Santo, personalmente e sostanzialmente è l'amore con cui il Padre ama il Figlio. Pertanto, ecco l'amore col quale vogliamo amare Nostro Signor GESÙ CRISTO: non già un altro amore, una somiglianza, un'immagine, ma quel medesimo amore potente, tenero e costante, amore che opera l'unione come quello del Padre: dimodochè GESÙ CRISTO per noi, come per il Padre, sia tutto. Perché il Padre non ama che GESÙ CRISTO, e tutto quanto Egli ama nel mondo, lo ama unicamente in GESÙ CRISTO, vede ogni cosa in Lui, e non trova di amabile se non ciò che di GESÙ CRISTO Egli stesso ha posto ih noi e vede in noi: in questo modo il Padre! ama le anime nostre in GESÙ CRISTO.
Perciò, l'amore di GESÙ CRISTO è, per noi, ogni amore; perché noi pure amiamo in GESÙ CRISTO ogni creatura; quelle che non sono in Lui, come i demoni e i reprobi, sono le uniche che non amiamo. GESÙ CRISTO è il riposo cui tendono tutti i nostri sospiri e al quale aspira tutto il nostro essere, il Focolare dove tutto si consuma, il Centro dove tutto ha il suo compimento, l'unico Bene e unico nostro Bene. Questo ha domandato GESÙ, per noi Sacerdoti specialmente; noi in modo speciale, ci troviamo nella persona degli Apostoli per i quali venne fatta quella preghiera, pochi momenti dopo la loro consacrazione sacerdotale. Questo fu l'oggetto dell'ultima preghiera che GESÙ CRISTO rivolgeva al Padre, prima di incamminarsi alla sua dolorosa Passione: Ut dilectio, qua dilexisti me, in ipis sit, et ego in ipsis. Quest'ultima parola è come il suggello dell'unione. Noi andiamo da Lui, ed Egli ci accoglie, ci abbraccia, ci nasconde nell'intimo del suo Cuore, dove l'unione si compie; ma, in quella guisa che ci accoglie e ci nasconde in Lui, Egli pure dona se stesso a noi, e noi lo accogliamo e lo nascondiamo nell'intimo delle anime nostre. Allora, in tutta verità, lo amiamo e lo possediamo come lo ama e lo possiede il Padre, che non ha mai cessato di amarlo e di possederlo nel proprio seno.
Questi grandi misteri debbono formare quaggiù la nostra gioia; gioia che è preludio e saggio della felicità eterna, dove, secondo la parola di sant'Agostino, omnes unus in uno ad unum erimus (In Psalm., 147).
Vediamo ora in che consiste l'amore che dobbiamo a GESÙ CRISTO. Non siamo capaci che di balbettare intorno a un tal soggetto, proviamoci almeno di richiamarci i principali titoli che GESÙ possiede al nostro amore. Se i nostri cuori intenderanno e saranno persuasi, noi ci troveremo sulla via di quella grande santità che si addice al nostro Sacerdozio, e al nostro stato di Vittima.
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1. – Dobbiamo amare Nostro Signore GESÙ CRISTO come Dio. – In questa parola quante verità, quanta luce, quante inenarrabili magnificenze! Non è il caso di dire che cosa è Dio, e poi soggiungere Nostro Signore è tutto ciò. Ognuno può fare da sé una tale esposizione dottrinale. Diremo semplicemente: Dio è ogni Bellezza, e ogni Carità: ogni Bellezza nel complesso infinitamente amabile e ammira bile dei suoi attributi. Dio è quella Bellezza di cui parla san Dionigi: Vocatur pulchrum et ex omni parte pulchrum et plus quam pulchrum… semper existens pulchrum, atque fontem universi pulchri, pulchritudinem in seipso eminenter anticipans, praehabensque (344). Dio è quella Bellezza alla quale sant'Agostino rivolgeva queste parole così commoventi: Sero te amavi, pulchritudo tam antiqua et tam nova! Sero te amavi! (Confess., lib. X). Ahimè! forse che queste parole convengono a noi, a noi, Sacerdoti, che dobbiamo senza posa contemplare la bellezza del nostro Dio, del Verbo che,chiamandoci al Sacerdozio, ci ha dato una luce più viva, perché potessimo fissare i nostri sguardi sopra di Lui e «sopportare, come se la vedessimo senza velo, la bellezza della sua faccia gloriosa» (Eb 11, 27). Ma piaccia a Dio che si verifichino per noi quelle altre parole di sant'Agostino: «Voi mi chiamate, e il vostro grido vince la sordità del mio orecchio; brilla il vostro splendore e dissipa la mia cecità; aspiro il vostro profumo e sospiro a voi; vi ho gustata, o Bellezza infinita, ed ecco che sono divorato dalla fame e dalla sete; mi avete infiammato del desiderio della vostra pace» (Confess., lib. X). Defecit caro mea, et cor meum; Deus cordis mei et pars mea Deus in aeternum Gratias tibi de donis tuis; sed tu mihi ea serva; ita enim servabis me, et augebuntur et perficientur quae dedisti mihiI, cap. X).
Quando sarà che lo sguardo della nostra intelligenza e del nostro cuore non si fisserà più che in quella Bellezza essenziale del nostro Dio e Signore, GESÙ CRISTO?
Dobbiamo essere rapiti dalla sua Bellezza: dobbiamo esserlo pure dalla sua Bontà, ossia dalla sua Carità. Di Lui in persona sta scritto: Deus charitas est (I Gv 4, 8); e di se stesso Egli parlava all'insaputa dei suoi uditori ancora ignoranti, quando diceva: Nemo bonus nisi solus Deus (Lc 18, 19). GESÙ CRISTO è il Buono per eccellenza. «Ciò che è buono, dice ancora san Dionigi, dai Sacri Teologi riceve i titoli di bello e di bellezza, di amabile e di amore, e tutti gli altri (titoli) ancora che convengono a quella Magnificenza piena di attrattive e fonte di grazie» (345). GESÙ è «questa Magnificenza, fonte di tutte le grazie». Non vi è nessun dono, neppure uno, sia di grazia che di gloria, di cui Egli non sia l'Autore. A Lui, in tutta realtà siamo debitori di tutto. In questo momento medesimo, siamo l'oggetto immediato della sua Provvidenza, del suo amore e della sua tenerezza; tutto quanto riceviamo, in apparenza, dalle creature, ci viene dalla sua mano; tutto quanto facciamo di bene « è Lui che ce lo fa compiere» (346); un giorno poi darà se stesso a noi, per essere «la nostra ricompensa grande all'eccesso». Ego merces tua magna nimis (Gn 15, 1).
Concludiamo con queste parole del Salmista: Quid mihi est in caelo, et a te quid volui super terram? (Ps. 72, 25-26).
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II – Dobbiamo amare Nostro Signor GESÙ CRISTO come nostro sommo Sacerdote. – La gloria di questo titolo magnifico suppone, in GESÙ CRISTO, tutte le glorie della sua condizione di Uomo Dio, e delle sue qualità di Religioso del Padre, di Mediatore, Redentore, Riconciliatore e Salvatore: Chi dice Sacerdote, dice l'incantevole complesso di tutte le perfezioni create, ossia, il complesso, nel tempo, di tutta quella bellezza, santità, carità e potenza che vi è nell'eternità. Quaggiù noi amiamo ciò che è grande, nobile, buono e santo; come non saremmo rapiti di entusiasmo, di gioia e di amore, davanti a GESÙ CRISTO, sommo Sacerdote? Che cosa è mai, in confronto con gli splendori del Sacerdozio di GESÙ CRISTO tutta la gloria riunita dei Giusti, degli Angeli e della amabilissima e ammirabile Regina degli Angeli e degli uomini? Ogni gloria in cielo e in terra non è che una comunicazione degli splendori di quel Sacerdozio. Tutto emana da questa unica fonte di ogni grazia, di ogni perfezione, di ogni santità e di ogni beatitudine.
Quale disgrazia sarebbe la nostra, se nel nostro cuore vi fosse qualche altro amore fuori dell'amore per GESÙ nostro sacerdote! Si quis non amat Dominum nostrum Jesum Christum, sit anathema! (I Cor 16, 22).
Cosa dovremo dire inoltre, pensando che quel divin Sacerdozio ci è stato comunicato. Ognuno di noi, (o grande Mistero!) è un altro GESÙ CRISTO Sacerdote. Riconoscere che con Lui siamo figli di Dio mediante il Battesimo, e perciò eredi del cielo e suoi coeredi per il possesso di questo regno, è già molto; molto più di quanto avremmo potuto concepire. Così pure dobbiamo dire, senza dubbio, di tante grazie annesse ai santi Sacramenti, e di mille altre che la Provvidenza del suo Sacro Cuore ci ha fatte: educazione cristiana, buoni. esempi, un mondo insomma di benedizioni! E fonte di tutto è quel Cuore infinitamente buono e misericordioso.
Ma il Sacerdozio! il divin Sacerdozio! l'eterno Sacerdozio! questo onore che non è stato concesso né agli Angeli, né agli Arcangeli, né a san Michele! questo coronamento così magnifico di tutti i favori celesti già da noi ricevuti! questa consociazione, questa unione senza pari a GESÙ, in quel titolo, in quell'officio che sono i più santi, più sublimi, e più degni di Lui e del Padre suo! O Dio! qual favore! Se qualcuno ci fa del bene o ci dimostra qualche deferenza, noi gliene siamo riconoscenti; ma chi, come il nostro sommo Sacerdote, ci ha fatto del bene, ci ha usato riguardi, ci ha onorati, innalzati e glorificati? Chi potrà dunque esprimere l'amore riconoscente che gli dobbiamo portare?.. Quando pure la nostra vita trascorresse tutt'intera nel canto del Te Deum e del Magnificat, che cosa avremmo fatto che corrisponda all'amore, alla tenera affezione ch'Egli ci ha dimostrata? Essendo noi Sacerdoti eterni come Lui, soltanto con l'azione di grazie dell’eternità potremo incominciare, in unione coi Santi e con Maria SS., a soddisfare il nostro debito di gratitudine e di amore.
Dobbiamo amarlo come nostro Salvatore; ciò vuol dire ancora che dobbiamo amarlo in quanto esercita sopra di noi il suo ufficio di Sacerdote, il suo diritto di Sacrificatore, e ci rende Ostie. Perché non solamente, in quanto è Sacerdote ci onora del suo Sacerdozio, ma ancora, per dare ad un tale onore il suo compimento, ci rende pure Ostie come Lui. Quale grazia insigne! In fondo, il vincolo che lega GESÙ al Padre è costituito dal suo stato di Ostia, se è lecita una tale distinzione, piuttosto che dal suo Sacerdozio. Il suo Sacerdozio è una dignità: il suo stato di Ostia, è l'esercizio e la perfezione del potere che si contiene in quella dignità. Ora, è evidente che questo esercizio è quello che forma la gloria e la soddisfazione del Padre. Orbene, riconosciamo la sua amorosa condiscendenza verso di noi! Egli vuole che noi siamo, come Lui, la pura gloria e il perfetto compiacimento del Padre, e, a questo fine, ci comunica il suo spirito e il suo stato di Ostia. Ci associa così a ciò che Egli ama sopra ogni cosa. Sarebbe già un onore magnifico per noi aver parte alla sua grande autorità di Giudice dei vivi e dei morti: eppure sarebbe un onore molto meno sublime che di essere Vittime con Lui. Così, ciò che sembra essere come la rovina di noi medesimi (perché essere Ostia, in un certo qual modo, vuol dire essere distrutti), è veramente ciò che ci eleva al disopra di noi medesimi, e ci fa giungere sino a Dio.
Come dobbiamo amare il nostro Sacerdote che ci eleva ad essere, come Lui e con Lui, Sacerdoti e Ostie! La gratitudine per l'onore e la grazia che riceviamo, deve in noi, essere così profonda che nulla di terreno possa commuoverei. Quali onori possiamo ricevere che non siano futilità di nessun valore, in confronto della sublimità cui ci innalza GESÙ CRISTO? Ah! non dimentichiamolo giammai! dignità, onorificenze di qualsiasi genere, tutto ciò, benché non sia del tutto spregevole, poiché la gloria di Dio talvolta vi ha la sua parte non è però, in realtà, che vanità e afflizione di spirito, a confronto col nostro Sacerdozio e con la nostra eminente grazia di Ostia. Benedetto sia dunque mille e mille volte, Benedetto nei secoli dei secoli, il nostro Dio, il nostro Sacerdote, il nostro infinitamente amabile GESÙ! Ripetiamo con sant'Agostino: Gratias tibi, Dulcedo mea, Honor meus, Deus meus! (Confess., lib.
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NOTE
(338) Cfr.: S. TH., I-II, q. XXVIII, art. I, 2 et 6.
(339) Rom., VIII, 35-39; Philipp., I, 21-23; II Cor., V, 14-15
(340) In Psalm., XXXVI. – In Psalm., CXVIII.
(341) Epistol. XXIII et XXVIII. HUGO A S. VICT., Sermo XIV.
(342) De Trinit., lib, IV, cap. VII.
(343) Qui etiam alias (virtutes) sine ista (charitate) habet, Sacerdos non est. –
(344) De divinis nomin., cap. IV
(345) De divinis nom., cap.
(346) Et haec (bona opera nostra) tu fecisti, Domine, quia laborantes juvasti. – S. AUG., Serm. XLVIII.