Mateo Crawley-Boevey SS.CC.
(1867-1960)
RITIRO SACERDOTALE
Adveniat Regnum tuum!
MARIA E L'UMILTÀ
«Respexit humilitatem anciliae suae – Placui Altissimo cum essem parvula» (Lc. 1,48. Lit.).
Dedicheremo tutta questa giornata, predicazione e preghiere, in omaggio d'amor filiale al Cuore Immacolato di Maria, Madre e Regina degli Apostoli. Alla sua scuola noi mediteremo oggi tre grandi virtù sacerdotali. Cominceremo con quella che è la base di tutta la santità: l'umiltà.
A ogni vetta corrisponde un abisso. Maria nel piano divino occupa il punto più elevato in mezzo a tutte le creature. Ella è la cima più elevata della terra; Ella tocca Dio, confina con la Santissima Trinità. Per mezzo di questa altezza unica, incomparabile, ci è possibile misurare la profondità dell'abisso di umiltà di Maria. Essa è la più grande, la più santa delle creature, perchè fu la più umile, la più piccola. «Placui Altissimo cum essem parvula».
Oh! preghiamola con fervore perchè abbassandosi ancora una volta verso di noi, voglia impartirci in questo giorno una bella e luminosa lezione di umiltà sacerdotale.
* * *
L'Evangelo confermò sovente, rialzò e divinizzò, alcune virtù conosciute nel mondo pagano. In questo caso, il cristianesimo non ebbe che a costruire sul buon terreno della onestà naturale. Per contro Gesù Cristo ci ha rilevato la bellezza, e ce ne ha anche imposto la pratica, di altre virtù completamente ignorate prima di Lui. Tali, il perdono delle ingiurie, l'amore, dei nemici, la verginità e la castità. Sopratutto, oserei dire, l'umiltà di spirito e di cuore. Virtù eminentemente cristiana questa, che può essere la più difficile a praticarsi, poichè contraria alla tendenza più accentuata della nostra natura decaduta: l'amore disordinato di noi stessi.
Fu allo scopo di provare il suo amore infinito, che il Verbo si è fatto carne e divenne uomo: «Sic Deus dilexit mundum» (Jo. 3; 16). Ma mi sembra evidente che Egli scelse questo cammino di abbassamento e la via dei dolori per darci la lezione più delicata e più importante, per direi: «Se voi volete veramente appartenermi e seguirmi, prendete questa via infallibile, seguitemi nella umiltà e mi troverete».
E ciò è talmente vero, che la pietra di paragone del vero cristianesimo è e resterà sempre la virtù dell'umiltà. Si potrebbe, a rigore di termine, essere casto nel cuore e nei sensi ed essere un demonio d'orgoglio. Ricordate il caso spaventoso di Port-Royal. Ed io ho conosciuto un altro caso che può darsi lo sorpassi per raffinatezza, di superbia.
Più fondamentale della virtù angelica, sebbene così importante e così delicata, è l'umiltà.
Essa consiste, per una parte, nel sentimento di profonda riverenza della infinita maestà di Dio; e per altra parte, nel riconoscimento sincero, esatto della nostra miseria. Ma non basta riconoscere la nostra miseria, poichè mentre la si constata, si potrebbe trovare del dispetto, della rabbia e rassomigliare a una donna che volesse rompere lo specchio perchè la fa apparire brutta.
Un elemento indispensabile, perciò, di questa constatazione penosa deve essere la pace del cuore e più ancora l'amore della nostra miseria. S. Teresa, domandando a Nostro Signore perchè egli amasse tanto l'umiltà, intese questa risposta: «Perchè io amo la verità». Umiltà, dunque, e verità «convertuntur». Io amo la mia miseria, la mia povertà morale, la mia incapacità, perchè io amo la verità più che me stesso.
Senza questo equilibrio e questo amore, l'umiltà è impossibile.
Ecco un pensiero che il paganesimo non ha mai conosciuto. Il non cristiano è arrivato a confessare la sua miseria; il cristiano solamente va oltre: egli benedice la sua miseria perchè lo umilia e lo confonde, «Bonum mihi quia humiliasti me!» (Ps. 118, 71).
Ecco perchè questa virtù è rara, molto rara, anche in mezzo ai buoni. In effetto, sarebbe più facile trovare un penitente assai austero, in un deserto o in un convento, che trovare una umiltà pari all'austerità, come nel caso meraviglioso e recente di Carlo de Foucauld.
E precisamente perchè è allo stesso tempo sommamente delicata e difficile, l'umiltà è la caratteristica propria delle anime superiori, dei veri grandi.
Ah ! che i vostri fedeli, quando vorranno lodarvi sinceramente, possano dire di voi ciò che un diplomatico russo, scismatico, disse piangendo davanti al cadavere di Pio X: «Egli fu più Papa, più rappresentante di Cristo per la sua umiltà che per la sua tiara»!
Sì, che lodando il vostro zelo, la vostra attività per i poveri e per gli ammalati, i vostri cristiani possano dire di voi ciò che uno scettico curioso diceva dopo aver visto il santo Curato d'Ars: «Parlano molto dei miracoli del Curato d'Ars… ebbene, io dichiaro che il suo miracolo più grande è la sua umiltà»!
Vediamo ora i tre fondamenti della nostra umiltà.
Prima di tutto la nostra debolezza naturale, nell'ordine fisico. Ecco che un colpo d'aria indiscreto, la puntura di un insetto, un microbo invisibile, abbattono un gigante di salute. E malgrado ciò, noi siamo fieri di noi stessi…, noi degli orgogliosi!
Sentite un caso interessante. Un monaco aveva consacrato allo studio di vecchi manoscritti dei lunghi anni e il meglio delle sue forze, consumandovi la sua salute. Finalmente è arrivato al termine del suo sogno: ha trovato quello che egli cercava, le sue note sono ordinate, egli possiede una magnifica raccolta, preziosa di erudizione…. parleranno di lui !
Ahimé ! Una sera una scintilla infiamma, e riduce in cenere il frutto di vent'anni di ricerche e di sfibrante fatica. Per colmo di sventura, la commozione è tale che il povero monaco, sconvolto, diviene folle.
Ecco ciò che siamo, nani e formiche, vinti per un niente. La nostra piccolezza è ancora più evidente davanti alle forze scatenate della natura: una tempesta in pieno oceano, un terremoto, un vulcano in eruzione… Eppure, noi rimaniamo nel nostro intimo pieni di noi stessi, così superbi per quella che chiamiamo la potenza del nostro genio!
E tutto questo, che senza dubbio è assai rilevante, è ancor niente di fronte a un'altra impotenza sconcertante: la nostra assoluta incapacità per operare qualsiasi bene.
È il Signore che lo dice espressamente: «Sine me nihil potestis facere» (Jo. 15, 5). Rimarchiamo che Egli dice e io sottolineo la parola nihil. Non dice «voi potete fare poco», ma « niente senza di me». Non una giaculatoria che abbia un valore eterno senza di Lui, niente!
Ma vi è ancora più di questo: più del niente? Sì, vi è in noi una facoltà formidabile per il male. Non dubitate giammai di questa verità: «Noi siamo tutti capaci di tutto il male»!
«Signore, esclamava S. Filippo Neri, mettete le vostre due mani sulla mia testa; tutte e due, perchè se voi ne ritirate una, io sarò capace di tradirvi questa sera stessa, più che Giuda »I E diceva una grande verità, perchè tutti portiamo dentro di noi un nido di vipere, che non attendono che la nostra distrazione, la nostra debolezza, per compiere la loro opera di morte. È così che dei cedri del Libano, delle stelle del firmamento sono caduti. Prudenza, umiltà. Io che vi predico, se non sono umile, posso essere domani un «riprovato», come dice S. Paolo.
Aggiungiamo che quando un cedro o una stella cadono, in castigo della loro superbia, cioè quando cade un'anima consacrata, diciamo un prete…, la caduta da tanta altezza è spaventosa, «corruptio optimi pessima»!
Ditemi, di chi e cosa ci possiamo noi gloriare ragionevolmente? Di che cosa?… In realtà noi non possediamo che due tesori: quello delle nostre qualità, tesoro di imprestito che non appartiene che a Dio e a Lui solamente; e quello della nostra orribile miseria, nascosta in noi, tesoro questo veramente ed esclusivamente nostro… Possiamo noi trarre vanità da questo tesoro, senza essere dei folli?
Per non cadere in tale follia colpevole, oh detestate, più che la stessa impurità, il più impuro degli amori, l'amor proprio, la superbia! Temetela, come il vizio capitale fra tutti i vizi. Gli amici del Signore che divennero un giorno dei traditori, caddero, l'immensa maggioranza, per l'orgoglio, che è la radice di mille altre debolezze formidabili.
Se voi sapeste con qual rigore il Signore castiga anche su questa terra la rivolta della superbia! Io ho visto riprodursi il caso di Nabucodonosor nella terribile umiliazione di un Rettore di una Università, uomo folle di orgoglio e bestemmiatore. Fu colpito non già da demenza, ma da un male strano che, senza togliergli l'uso della ragione, l'obbligò a vivere per due interi anni come una vera bestia, degradato a tal punto che io non potrei raccontare.
Tremate, tremate per il timore di essere presi un giorno dalle vertigini dell'orgoglio, causa di tutte le rovine e di tutti gli scandali.
Ma come difenderci ? Io ve lo indicherò in una maniera tanto semplice come pratica.
Vi sono due maniere per attaccare l'orgoglio nelle sue radici e diventare a poco a poco umili di spirito e di cuore.
La prima, che io oserei dire di successo infallibile, è l'obbedienza ai vostri superiori, ma una obbedienza perfetta.
Obbedite. Piegate il vostro carattere al giogo di una sommissione senza riserve, amate di essere diretti, cedete in fatto di opinioni e di gusti, per seguire le direttive di coloro che hanno il carico di voi, e voi avrete messo una base di granito all'edificio della vostra vita sacerdotale.
Non dimenticate che il vostro successo davanti a Dio – ed è il solo che deve contare – è intimamente legato al vostro spirito di obbedienza. Sì, davanti a Dio voi troverete sempre una grazia abbondante e illimitata se vi avvicinerete a Lui per il cammino dell'obbedienza. Anche quando voi sbagliate, la virtù dell'obbedienza corregge l'errore e raddoppia il merito. Lasciate tutta la responsabilità a coloro che comandano, rimanete nella pace di coloro che obbediscono. Costoro godono di una sorte di infallibilità morale, essi hanno sempre ragione, anche se si trovano ad avere torto oggettivamente, essendo l'obbedienza la più sicura garanzia davanti a Dio.
Apprendete questa maniera soprannaturale di agire, acquistate queste convinzioni divine, formate in voi questo criterio tanto contrario alla dottrina dei mondani. I Santi non hanno mai ragionato, nè proceduto altrimenti. Tutto questo non è in fondo che la «stultitia crucis» di cui parla S. Paolo, che deve diventare la grande, la sola saggezza della vostra vita.
È ben vero che noi viviamo in un'epoca molto difficile, estremamente opposta a questa dottrina. Al giorno d'oggi respiriamo ovunque un gas soffocante e mortale di rivolta. Ma proprio per questo dobbiamo con estrema urgenza afferrarci saldamente a questo principio eminentemente evangelico, soprannaturale.
Difendetevi da quello spirito di fierezza e di indipendenza disordinata che soffia con tanta violenza. La crisi su questo punto è formidabile. Ma la Chiesa salverà sempre le Tavole della Legge, i suoi grandi principii. E nella Chiesa, noi preti, proprio noi, dobbiamo essere l'esempio vivente di questi principii e non solamente dei teorici e dei predicatori per gli altri.
Come è sublime su questo punto l'esempio del Maestro adorabile!
A Nazareth: «subditus illis» (Luc. 2; 51). Durante la Passione: «obediens usque ad mortem, » (Phil. 2, 8). Copiate questo modello incomparabile. Mettetevici di gran cuore, risolutamente, perchè su questo punto, forse più ancora che sugli altri, la piega che voi avete dato al vostro spirito non cambierà.
E adesso un altro consiglio pratico. Il secondo mezzo per respingere le ondate di orgoglio e per imparare la lezione dell'umiltà, quale sarà? domanderete voi. Ed io a mia volta vi domando: come si apprende una lingua? Praticandola, ed anche storpiandola sovente, fino a dominarla perfettamente. E vi si arriva. Fate altrettanto con la lingua difficile per eccellenza dell'umiltà. Io vi dico: imparate ad essere umili, umiliandovi.
Le occasioni abbondano nei rapporti con i vostri Superiori e fra di voi. Voi ne troverete ogni giorno, se voi volete corrispondere alla grazia. Sopportate in silenzio una riprensione che una spiegazione potrebbe deviare: «Jesus autem tacebat» (Mth. 26, 63). Assaporate questa goccia amara. Se un vostro confratello vi ha offeso in un momento di vivacità o di distrazione, avvicinatevi a serrargli la mano, prestategli aiuto con una amabilità particolare per dominare i vostri nervi frenandoli, per mettere una sordina al vostro cuore che si indigna e reclama i suoi diritti.
È praticamente così, facendosi violenza, che si acquista la dolcezza e l'umiltà di cuore, virtù indispensabili per voi stessi e per il vostro ministero sacerdotale. Le belle teorie noi le sappiamo a memoria, e voi potreste fare delle magnifiche dissertazioni sulla bellezza dell'umiltà, allo stesso tempo che bruciate d'orgoglio.
Oh, apprendete per mezzo della pratica quotidiana questa lingua divina!
Finalmente, la terza base e la ragione d'essere della nostra umiltà è la nostra impotenza apostolica.
Voglio dire la nostra incapacità assoluta a commuovere e convertire le anime, malgrado l'eloquenza, la scienza e il lavoro. Ancora una volta «nihil», niente, senza Colui «qui incrementum dat, Deus». Voi avrete ben lavorato tutta la notte, gettata la rete a destra e a sinistra come gli apostoli, ma solo Gesù si è riservato il segreto delle anime, e questo segreto Egli non lo confida che agli umili che giammai oserebbero rapirgli la gloria.
Che confusione quella di trovarsi, dopo tante fatiche, con le mani vuote, mentrechè nella propria vanità si era sognata una gran messe! Il bene, voi lo farete, sì, ma avendo una grande umiltà, siatene convinti.
Un sacerdote esorcizzava già da molto tempo un ossesso e comandava al maligno di uscire da quell'anima. Ed ecco che, un giorno, il demonio, con grande confusione dell'esorcista, grida con un tono ironico e trionfante: «Io non uscirò» – E perchè? interroga il sacerdote. E il demonio con risposta burlone: «Perchè noi siamo parenti, tu ed io: noi siamo due orgogliosi!»
Questa risposta vi darà la spiegazione della sterilità nell'apostolato. Il demonio ci resiste sul pulpito, al confessionale, nelle funzioni del nostro ministero, perché noi non siamo abbastanza umili. L'orgoglioso non ha potere contro l'angelo caduto per orgoglio.
Mentre invece, osservate come nell'ordine della Provvidenza il Signore si serve quasi sempre dei «nulla», dei «piccoli», per realizzare delle grandi cose nella sua Chiesa! Molto sovente, quando Dio vuole rinnovare la Pentecoste per scuotere le anime con un fatto miracoloso, straordinario, il suo strumento è una paglia, un fanciullo. Non è il caso di Paray-le-Monial con S. Margherita Maria? Di Lourdes con Bernadetta? Di Lisieux con S. Teresa?
Con dei grani di sabbia Nostro Signore rovescia il mondo. Con le paglie di Betlemme accende le stelle… Ah! mille volte felici gli umili, i piccoli, perchè: «infirma mundi, contemptibilia mundi elegit Deus ut confundat fortia»! (1 Cor. 1, 28).
Volete voi divenire veramente gli amici, gli intimi del vostro Re e Salvatore? Volete voi realizzare l'opera della sua gloria per la quale siete stati tutti chiamati? Volete voi divenire degli strumenti docili dei suoi disegni?
Ah! siate umili, molto umili, e voi avrete rubato il Cuore di Gesù, e nella intimità di quel Cuore voi avrete trovato il segreto di salvare, di convertire, di santificare le anime, tesoro suo e vostra eredità.
Dite spesso con le labbra, e più frequentemente con le opere, questa bella giaculatoria: «Jesu mitis et humilis, corde, fac cm nostrum secundum Cor tuum!»
RISOLUZIONE PRATICA. Ogni mattina, durante la vostra azione di grazia, promettete al Cuore di Gesù di accettare generosamente le umiliazioni della giornata. Offrite queste umiliazioni in cambio delle conversioni che voi avete in vista e di cui il principale ostacolo è sovente un eccesso di ragionamento, una grande mancanza di umiltà. Piegate voi stessi, umiliatevi, affinchè a loro volta si pieghino pure quelle anime, docili alla grazia. In effetti, più che gli argomenti, è la vita dell'apostolo, è la sua virtù che, con l'aiuto della grazia, opera le conversioni.
Acquistate l'umiltà umiliandovi, e per mezzo di una obbedienza perfetta di spirito e di cuore!
Veni Sancte Spiritus!
Adveniat Regnum tuum!
testo tratto da: P. Matteo Crawley SS.CC., Ritiro Sacerdotale, Grottaferrata – Trento, 1958, pp. 32-44.