P. SILVIO MARIA GIRAUD
MISSIONARIO DELLA SALETTE
SACERDOTE E OSTIA
CAPITOLO OTTAVO. Nostro Signore Gesù Cristo vittima. Perfezione della sua umanità che è l’ostia del suo sacrificio
Nostro Signore GESÙ CRISTO è Dio e Uomo. Non è il Dio che è Ostia ma è l’uomo; la sua Umanità sola è la materia del suo Sacrificio: il suo corpo anzitutto, a motivo del carattere di visibilità proprio di quel Sacrificio; ma pure, di tutta necessità, anche la sua anima. Perciò, entrando nel mondo, GESÙ disse al Padre suo: «Voi mi avete dato e appropriato un corpo: ecco che vengo», per sostituirmi a tutte le ostie antiche, ed essere solo il vostro Sacrificio e la vostra Ostia. Il seno di Maria fu il suo Tempio. Dall’augusta Vergine Egli prese la carne di cui si rivestì, e questa carne Egli l’offrì, facendone la Vittima che sola è gradita al Padre; da quel momento, in quella guisa che era Sacerdote in tutto il suo essere, fu Vittima pure in tutto il suo essere.
Quell’essere creato, capolavoro della Potenza e dell’amore della SS. Trinità; quella Umanità adorabile, nella quale e dalla quale il Padre ha ricevuto la sua gloria, e il mondo la sua salvezza; quella Vittima perfettissima, che ha tutto restaurato, tutto riconciliato, «che è stata per noi, per divino beneplacito, Sapienza, Giustizia, Santificazione e Redenzione» (I Cor 1, 30); il suo stato e le sue disposizioni di Ostia, il suo divin Sacrificio: ecco il complesso magnifico di incomparabili bellezze, che sarà l’oggetto del nostro umile e attraentissimo studio: perfezione, dignità e santità dell’Umanità di GESÙ. In questo capitolo studieremo la sua Perfezione, ossia, l’eccellenza affatto singolare e unica dell’essere naturale dell’Umanità del Verbo incarnato. Essere naturale, questo significa il suo fondo, ciò che la costituisce: l’anima quindi e il corpo. Ma noi faremo qui astrazione della Unione ipostatica; non già che la perfezione di questo essere naturale possa derivare da altra causa che da quella Unione; non già che tale astrazione possa essere altro che una pura operazione della nostra mente, poiché l’Umanità in GESÙ non è mai esistita, neppure un istante, senza quella Unione. Ma questo modo di considerare l’essere naturale di GESÙ separatamente da ciò che è il principio della sua perfezione, ci permette di veder meglio, con analisi di tal genere, le ricchezze e «i tesori che sono nascosti» (Col 2, 3) nella nostra divina Vittima.
L’Umanità del Verbo è perfetta, non solo nel senso che non le manca nulla di ciò che costituisce la natura umana sia nell’anima come nel corpo, dimodochè dire che il Verbo è uomo, è tanta vero come lo si può dire di ciascuno di noi. Ma essa è perfetta in un altro senso più elevato, perché la sua perfezione è tale, che non vi è, né può esservi al mondo, nulla che sia così eccellente e sublime come quella divina Umanità. È dottrina di sant’Agostino: «Praedestinata est ita naturae humanae tanta et tam celsa et summa subvectio, ut quo attolleretur altius, non haberet» (De praedestinat. sanctorum, cap. XV).
Quella divina Umanità sorpassa, non soltanto tutte le perfezioni e bellezze create, ma pure ogni eccellenza e bellezza possibile: perché qualunque perfezione che Dio possa creare, non sarà mai quella di una natura umana appartenente ipostaticamente ad una Persona divina, essendochè l’Incarnazione è stata operata una volta sola e non dovrà mai più essere riprodotta. Il fatto dell’Unione ipostatica ci porge la spiegazione di tale perfezione; ma il fine, per il quale quella Umanità è stata creata, ci rivela altresì la ragione di tale eccellenza incomparabile e assolutamente unica. L’Umanità di GESÙ è la Vittima di Dio. Essa deve dunque, nel suo stato come nei suoi atti, essere la purissima e perfettissima gloria di Dio. Il Verbo eternamente, sostanzialmente, personalmente, per il suo stato di Figlio di Dio e per un atto d’amore incessante e sostanziale, è la gloria del Padre: splendor gloriae; la sua Umanità sarà pure la gloria del Padre, in modo accidentale e temporale ma pure perfettissimo e perpetuo; e ciò nello stato di creatura unita al Verbo, e negli atti teandrici ch’essa opererà. Orbene, perché essa sia la gloria del Padre, bisogna sia perfetta in tutto l’essere suo, e perfetta di una perfezione affatto singolare e unica, di una perfezione che sia l’espressione di tutto quanto la Potenza, la Sapienza e l’Amore del Creatore possano compiere nelle opere esterne (Cfr.: S. Th., III, q. I, a. 1).
L’Umanità del Verbo, perché intera e completa, è composta di un’anima e di un corpo uniti assieme. Qual’è, dapprima, la perfezione propria e naturale dell’anima sua?
L’anima umana è intelligenza e volontà.
L’intelligenza di Gesù Cristo, dal primo momento della sua creazione, fu la più sublime, la più vasta, la più profonda (77); intelligenza sempre sicura, sempre infallibile, sempre piena e ricca. Non vi era verità alcuna, in qualsiasi ordine, che per essa fosse oscura. Dio, il suo essere, la sua vita, le sue operazioni interne nella Trinità delle Persone, le sue opere esterne, le vie della Provvidenza, i segreti della Predestinazione; gli abissi della giustizia infinita e quelli più impenetrabili della Misericordia divina: tutto era chiaro allo sguardo intellettuale dell’anima di GESÙ, e senza nessuno sforzo né difficoltà. Ciò che la luce naturale è per i nostri occhi, lo era per lo sguardo dell’anima di Dio la luce universale che rischiara ogni verità; o piuttosto, Egli possedeva in se stesso questa luce increata; perché nel Verbo divino Egli vedeva ogni cosa, e Lui stesso è il Verbo (78).
La scienza di Gesù si estendeva a tutto quanto riguarda Dio; come mai Egli avrebbe potuto ignorare ciò che riguarda le creature? Tutte le azioni degli uomini, tutti i segreti delle loro coscienze, tutti i misteri dei loro pensieri e dei loro disegni, tutto quanto forma la storia di ciascuna anima: il suo passato, il suo presente, il suo avvenire; tutti i problemi della natura, i fenomeni dell’universo, le leggi del mondo; tutte le conoscenze umane e angeliche; tutte queste cose così variate, così mobili, così precarie, erano per l’anima di GESÙ evidenti in tutta la loro nuda verità e distinta realtà, senz’ombra né incertezza. Quel Bambino che riposava nel seno di Maria, possedeva questa scienza universale, sicurissima e infallibile. Qualche testo della Scrittura sembrerebbe limitarla e diminuirla (79): ma queste, ognuno lo sa, sono difficoltà puramente apparenti. Tutti i Padri hanno affermato, con san Tommaso, che quel Bambino, come l’Adolescente di Nazaret e il Dio della Vita pubblica, non ignorava nulla (80).
Ciò che diciamo dell’intelligenza della quale è proprio di percepire la verità, è vero pure di tutte le altre facoltà intellettuali. Così, in GESÙ, la memoria non poteva assolutamente soffrire deficienza alcuna; il giudizio non poteva mai errare in nessun caso; l’immaginazione non poteva da nulla venire turbata né sviata e non era che un aiuto per la chiara percezione di ogni cosa; la ragione traeva infallibilmente le conseguenze dai principi; la sensibilità, senz’orrore, né esagerazione, né diminuzione, tramandava le conoscenze sperimentali acquistate per mezzo dei sensi. Vi erano anzi in GESÙ delle facoltà intellettuali che noi non possediamo, come la conoscenza di tutte le cose passate, e la previsione certa di tutti i futuri contingenti.
Questa scienza, infine, era così perfetta, così intera fin dal principio, che, per ciò stesso, era fissa e senza possibile progresso; la scienza sperimentale, in realtà, non aggiungeva nulla alla conoscenza intima che l’anima del Verbo incarnato aveva di ogni cosa.
Consideriamo ora la sua volontà. – Questa era fissata nel bene (81). Nessuna debolezza, nessun difetto, nulla che mai potesse farla decadere dalla bontà nativa e propria di quella santa Umanità; essa era assolutamente impeccabile, essenzialmente aderente al bene, al bene perfetto, a tutto quanto v’è di più giusto, di più santo. Ciò che noi chiameremmo eroico nell’esercizio della virtù, in GESÙ era lo stato naturale e regolare, era il fondo dell’essere, la condizione costante, inalterabile e fissa. In quella volontà umana non era possibile, non diremo il peccato, ma neppure l’imperfezione volontaria o involontaria, neppure la minima inclinazione interna o esterna, vale a dire nei sensi, a ciò che sarebbe meno buono, meno giusto, meno perfetto. Gesù Cristo era il Santo e la Santità stessa.
Perfetto era pure il corpo di Gesù. Entrando nel mondo, GESÙ disse al Padre: «Mi avete appropriato un corpo». Bella espressione: appropriato! Il corpo di GESÙ è un corpo appropriato ossia adatto alle qualità ed alle perfezioni dell’anima! Più ancora, un corpo adatto al Verbo, alla santità ed alla dignità del Verbo! Quali perfezioni non si richiedono per una tale condizione (82)! Ma bisogna considerare quella espressione nella frase in cui si trova. Essa ci rivela che quel corpo è appropriato, adattato alla condizione di Vittima. È dunque santo, e concorre, con le qualità che gli sono proprie, alla gloria di Dio, alla consolazione e soddisfazione che Dio vuol ricevere dal Sacrificio del Verbo incarnato. Concepito per opera dello Spirito Santo e formato dal sangue della Vergine. immacolata, è composto in un modo così ammirabile e tale è la sua perfezione, che non può essere soggetto a nessuna infermità derivante da disordine negli umori o nel sangue, né a nessuna malattia. È vero che può essere colpito dal dolore in causa di una privazione, di una fatica eccessiva, o di una violenza esterna. Tuttavia questo non è effetto di una imperfezione nativa; ma è perché la nostra dolce Vittima ha voluto «essere simile a noi in tutto, fuorché nel peccato» (83). Il corpo che GESÙ ha preso è destinato a soffrire, realmente creato per soffrire, destinato al Sacrificio e al Sacrificio espiatorio, quindi con un’attitudine particolare alla sofferenza, «appropriato», adattato a questo fine. GESÙ pertanto ha sofferto più di qualsiasi altro uomo, qualunque sia il supplizio che si possa immaginare sulla terra; più dei martiri, e degli ammalati più tormentati, e non solamente nella sua dolorosa Passione, ma fin dalla sua nascita a Betlemme e fin dai primi giorni della sua esistenza sulla terra (84).
Quali erano le sembianze di GESÙ? il suo aspetto esterno? le sue fattezze? I Santi Padri a tale domanda rispondono comunemente che, nel Verbo fatto carne, non vi era nulla che non fosse nobile, degno, attraente, dolce; ch’Egli era veramente bello (85), ma di quella bellezza divina che deriva dalla santità; e che a Lui si dovevano applicare, in questo senso, queste parole del Salmo 44: «Tu sorpassi in bellezza i figli degli uomini».
Ma la gloria del corpo di GESÙ CRISTO proveniva soprattuttO dal fatto che «tutta la pienezza della divinità abitava in Lui» (Col 2, 3). Quel corpo era il tempio dello Spirito Santo e il corpo d’un Dio; perciò non era solamente santo ma principio e causa di santità (86).
Così l’Umanità di Nostro Signore, considerata in se stessa, nel suo essere naturale, nelle sue proprietà, nell’anima e nel corpo che la compongono, è l’opera la più bella della Santissima Trinità; è la meraviglia Veramente unica dell’universo; e nulla può, né mai potrà, esserle uguale.
(77) È noto l’assioma di s. Ambrogio: Anima Christi omnia habet per gratiam, quae Deus habet per naturam. Cfr.: S. TH., III, q. IX-XII.
(78) Dicimus animam Christi, per sapientiam sibi gratis datam in Verbo Dei cui unita est, unde etiam perfecte intelligit, omnia scire quae Deus scit… sed non ita dare et perspicue capit ut Deus. PETR. LOMBARDO, III Sentent. Distinct., XIV.
(79) Cfr.: S. TH., III, q. X, art. 2.
(80) Anima Christi in Verbo cognoscit omnia etc. S. TH., III, q. X, a. 2.
(81) Volutans humana Christi ita fuit deificata per unionem ad Verbum, ut non possit divinae repugnare. S. GREG. NAZ., Ort., XXX.
(82) Corpus Christi Jesu cum Spiritus Sancti virtute formatum esset, multo perfectius et temperatius fuit, quam aliorum hominum corpora esse possunt, atque adeo acriorem sentiendi vim habuit et gravius tormenta omnia perpessum est. Catech. Rom., I part., art. 4, n. 21.
(83) Philipp., II, 7. – Hebr., II, 17; IV, 15. – Esurivit Jesus, verum est; sed quia voluit. Dormivit Jesus, verum est; sed quia voluit. Mortuus est Jesus, verum est; sed quia voluit… Ubi summa potestas est, secundum voluntatis nutum tractatur infirmitas. – S. AUG., In Joannem, Tract. XLIX.
(84) «Gli Annali dei viaggi al polo ci narrano quali sofferenze possono essere causate dal freddo; eppure nessuno di quei coraggiosi esploratori e arditi marinai, che soccombettero sulle pianure di ghiaccio o di neve, soffrì per il freddo tanto come il Neonato di Betlemme, nella Grotta agghiacciata». FABER, Betlemme, cap. VII.
(85) Visu gratiosissimus fuisse dicitur. – S. CHRYSOST., in Matth. Hom., XXVII. – Universis pulchrior est Christus. – S. HIERON., Epist., LXV, – Nobis jam credentibus, ubique sponsus pulcher occurrat. Pulcher Deus, Verbum apud Deum. Pulcher in utero Virginis… Pulcher ergo in Coelo, pulcher in terra… pulcher in ligno, pulcher in sepulcro, pulcher in intellectu… Summa et vera pulchritudo justitia est. Si ubique justus, ubique decorus. – S. AUG., Serm., CXXXVIII
(86) JOANN., VI, 55. – Si quis non confitetur carnem Domini vivificatricem esse… anathema sit. – Concil. Ephes., can. 11.