SANTITÀ SACERDOTALE

  • Categoria dell'articolo:Spiritualita

Mateo Crawley-Boevey SS.CC.
(1867-1960)
RITIRO SACERDOTALE

Adveniat Regnum tuum!

SANTITÀ SACERDOTALE.

«Nimis honorati sunt amici tui, Deus» (Ps. 138,17)
«Sancti estote» (Lev. 11,14)

Il capolavoro della creazione – capolavoro della onnipotenza e dell'amore infinito di Dio – è certamente la SS. Vergine Immacolata. Ella rimane un Cielo a parte, unico. La bellezza increata del Signore riversa sopra di Lei tutto quello che una creatura può contenere della bontà e della grandezza di Dio.
Immediatamente dopo Maria, il sacerdote è il capolavoro dell'opera divina della grazia, della grandezza e della potenza di Dio.
Questo pensiero, ahimè! non ci commuove più quanto sarebbe necessario, anzi non raramente ci sentiamo stanchi di sentirci chiamare «Alter Christus»! Eppure questo titolo non è, oh nò !, un semplice convenzionalismo sociale. Questo titolo ben corrisponde a una divina e ineffabile realtà, ossia noi siamo effettivamente dei Cristo: «Sacerdos est medium quid inter humanam divinamque naturam», dice un Padre della Chiesa. E S. Clemente va più lontano: «Post Deum, terrenus Deus», chiama il sacerdote. Affermazione che sembrerebbe iperbolica se non avesse come base dottrinale lo stesso carattere sacerdotale e come argomento vittorioso i nostri poteri.
Infatti, l'Altare e il Confessionale non ci permettono nè di mentire, nè di esagerare, perchè questi due poteri ci elevano di una distanza infinita sopra ogni potere creato. Io comprendo facilmente lo stupore dei Giudei allorquando udirono Gesù dire al Paralitico: «Levati, ti sono perdonati i tuoi peccati» (Mth. 9,2); si domandarono tosto fra di loro: «Chi può parlare così senza bestemmiare, se non Dio?» Ed avevano ragione: solo Dio poteva pronunciare quella formula sacra che noi ripetiamo nel Confessionale. E se noi con ciò non bestemmiamo, è perchè «dii sumus».
Ma vi ha ancor più: noi all'Altare comandiamo imperiosamente al Signore stesso ed Egli ci obbedisce. Questo ci ricorda un altro scandalo dei Giudei ed anche di alcuni discepoli di Gesù, quando a Cafarnao Egli dichiarava che avrebbe donato la sua carne per alimento e il suo sangue per bevanda.
Che avrebbe pensato e detto quella gente se avesse potuto spiare, pur da lontano, il privilegio inaudito e il miracolo della nostra Messa quotidiana? In verità, il sacerdote è ben «terrenus deus, post Deum»! «Nimis honorificati sunt amici tui, Deus»!…

E adesso ascoltatemi con una umiltà pari alla gioia, cari Missionari. Anche in mezzo agli eletti della falange sacerdotale, esiste una gamma di valori differenti. Se il nostro sacerdozio è il medesimo di quello degli Apostoli, è tuttavia evidente che essi hanno ricevuto una prova di fiducia dal Signore direi in misura superiore a quella che abbiamo ricevuto noi. Perchè l'amicizia ed il dono del cuore sono sempre proporzionati alla fiducia che colui che offre pone nel suo amico.
Orbene, gli Apostoli furono l'avanguardia e i pionieri del Messaggio di Redenzione, essi furono i primi ambasciatori del Gran Re. E per il fatto di essere i primi nell'onore, furono i primi anche nei pericoli, negli scontri violenti con quella società pagana che dovevano conquistare. Essi compirono così bene il loro ruolo di privilegiati della contraddizione e dell'odio che, su dodici apostoli, undici furono martiri.
Senza voler misconoscere in alcuna maniera le gravissime difficoltà, e perciò il merito che il ministero sacerdotale incontra assai frequentemente nelle regioni cristiane dell'Occidente, tutto ben ponderato, la vostra vocazione missionaria resta un grande privilegio e suppone un insieme di condizioni che certamente non si verificano in ogni sacerdote.
Vuol dire che voi rimanete gli eredi più autentici della vocazione primitiva degli Apostoli. Voi avete ereditato, certamente meglio di me e meglio di tanti altri, il tesoro di difficoltà, di rischi e di responsabilità che fu la porzione dei Dodici e che è la croce e la gloria della vostra vocazione missionaria.

Tutto questo che io sto affermando, così bello perchè cosi vero, non è che la premessa di un insegnamento che io desidero trarre per la gloria del Cuore di Gesù.
Ecco, pertanto, un ragionamento semplice e sicuro. A una tale grandezza soprannaturale, dì carattere, di potere e di missione, dovrà logicamente corrispondere una eguale grandezza di vita interiore, di santità sacerdotale.
Se, dunque, per il potere e la missione io sono veramente un «Alter Christus», io dovrò esserlo anche nella mia vita. Altrimenti, se mi fosse permesso di essere solamente un uomo onesto, un funzionario ecclesiastico, e non un santo, Dio avrebbe fatto per la prima volta un'opera mostruosa: avrebbe, cioè, disquilibrato il sacerdote, stabilendo un abisso fra il suo potere e la sua virtù. Il prete sarebbe celestiale per la grandezza dei suo carattere, ma terrestre per una vita legittimamente mediocre e volgare.
Però questo squilibrio non può darsi e non può esistere nell'opera di Dio. Colui che mi ha fatto prete, deve necessariamente aver voluto darmi, insieme all'ordinazione, anche tutti i mezzi necessari per essere integralmente prete. Poichè un Cristo che fa dei miracoli di grazia, ma non è poi un miracolo di grazia Egli stesso, non è neanche il Cristo autentico, voluto da Dio.
Io concentro per un momento tutta la mia dignità e tutto il mio potere nella celebrazione dell'augusto Sacrificio della Messa e dico: se questo che sto facendo è veramente una divina realtà e la più divina delle realtà…, se io ho il potere di produrre la «transustanziazione», di offrire ufficialmente in Cristo, con Cristo e per Cristo, l'Ostia Divina al Padre, deve indiscutibilmente scaturire da ciò la conseguenza anche un sacerdozio tanto meraviglioso deve contenere in se stesso la virtù di santificarmi.
Poter salire all'altare e non essere, o non poter essere, un santo prete, sono idee e termini che si escludono.
Dunque: per il fatto che io offro ufficialmente il Santo Sacrificio, io devo essere un santo sacerdote!
È così che il mistero dell'Incarnazione supponeva ed esigeva tanto l'Immacolata Concezione, che la santità sopraeminente di Maria.

Aggiungiamo adesso l'argomento della nostra missione. La Saggezza, la Giustizia e l'Amore di un Dio che ci ha lanciati per questa via piena delle più gravi responsabilità, dovettero senza dubbio colmarci di virtù per il compimento della nostra missione redentrice. Ma riflettete che questa nostra missione non consiste solamente né principalmente nell'impiantare l'ingranaggio di una amministrazione e di un funzionarismo ecclesiastico, ma nella vita profonda, soprannaturale e celeste dell'apostolo, che informa e anima tutto questo ingranaggio, d'altra parte necessario. Osservate come Maria, Giuseppe e Giovanni Battista dovettero essere dei giganti di santità a causa della loro missione. Orbene, questa legge inesorabile, regge per noi come per loro.
Non si è mai visto e non si vedrà mai il miracolo contrario, di uno a cui il Signore confida una missione senza esigere allo stesso tempo da lui una equivalente santità. Si può perciò affermare che la misura della grandezza di una missione è la misura della santità che Dio esige in colui che dovrà essere il suo messaggero.
Confessiamolo: non sempre si è insistito abbastanza sopra questo principio fondamentale. Se pure non si è lasciato correre alla buona nella formazione sacerdotale contentandosi di un minimo qualsiasi. Si è creduto più alla potenza di 3000 guerrieri, che sono dei funzionari, che al valore dei 300 eletti e agguerriti di Gedeone, che sono dei ferventi e dei santi!
Si ha paura di domandare troppo, trascurando ciò che in fondo non è che un dovere di giustizia e di amore. E al contrario, non si ha mai abbastanza paura del flagello assai funesto della, mediocrità sacerdotale.
Felici voi, che siete stati formati a una scuola che ha dato già del numerosi esempi di singolare virtù sacerdotale! Ed è questo che spiega certi eroismi, apertisi qualche volta in fiori di santità e di martirio.
Fate onore alle vostre tradizioni: spiegate le vostre ali, con desiderio di elevarvi, di spaziare, di lavorare, per divenire dei santi. Abbiate orrore dì ogni mediocrità. Meditate sovente queste parole sacre: «Sancti estote… Estote perfecti… (Luc. 11,14). Ah! queste parole sono imperative, e non annunciano, dice Marmion, semplicemente la legge di salvezza, ma quella della santità. Se, perciò, non si applica ai consacrati quali noi siamo, ai preti, quando e a chi dovremmo applicarle ?
E prima di terminare, una riflessione ben consolante. Parlando delle opere di apostolato, è evidente che esse non sono tutte adatte per tutte le regioni e per tutte le parrocchie, e neanche per tutti i preti. Io non conosco che una sola opera alla portata di tutti i sacerdoti e di tutti i luoghi, e che dovrà essere ovunque e sempre alla base di tutte le vostre opere, qualunque esse siano: la santità del prete!
Curvi sotto il peso della fatica e dell'età a ottant'anni, o stroncati da una malattia a 35, preoccupatevi prima di tutto e sopratutto di presentare al Maestro della Messe un cuore di sacerdote infiammato d'amore, come solo i santi sanno fare. Credetemi, un cuore in fiamme colmerà mille e mille lacune dell'opera esteriore del vostro ministero e vi procurerà delle meravigliose sorprese al Tribunale dell'Altissimo.
Sì, Pio X aveva ragione di dire, per Roma come per tutte le cristianità d'Oriente: «Coloro che devono nutrire di Gesù Cristo le anime dei loro fratelli, devono prima di tutto esserne ripieni essi stessi e divenire dei Cristi, realizzando il motto di S. Paolo: «mihi vivere Christus est».
Cari e venerandi sacerdoti, ohi fate sempre i vostri ritiri sulla base di questa meditazione: «Haec est voluntas Dei, sanctificatio vestra» (I Thess. 4,3).

RISOLUZIONE PRATICA: Se io ho l'obbligo di divenire un santo sacerdote, è necessario che cominci ad averne un veemente desiderio. Perciò durante il vostro ringraziamento, rinnovate i vostri grandi, i vostri immensi desideri di perfezione, di salire tutti i giorni verso la cima, non fosse che di un passo. Sappiatelo, i desideri quando sono brucianti, legittimi e sinceri, sono già davanti a Dio, che vede tutto, un amore reale, vero.
La grazia non vi può mancare, essa è già abbondante in virtù del vostro sacerdozio e della vostra Messa, ed essa sarà sovrabbondante nella misura in cui i vostri desideri attireranno sopra di voi dei nuovi torrenti di benedizione.
Con una grande volontà, perciò, fate uno sforzo per ascendere, poichè Colui che vi ha chiamati al sacerdozio e all'apostolato, per questo stesso vi ha chiamato alla santità: «duc in altum»! (Luc. 5,4). Chi può celebrare i grandi Misteri Eucaristici e salvare delle anime per l'eternità, può certamente e deve diventare un vero santo. Ma è necessario volerlo con una volontà sincera, virile, sacerdotale.
Dio lo vuole! La sua gloria e la grave responsabilità delle anime l'esigono: Ascendete!

Veni Sancte Spiritus!
Adveniat Regnum tuum!


testo tratto da: P. Matteo Crawley SS.CC., Ritiro Sacerdotale, Grottaferrata – Trento, 1958, pp. 71-79.