Dopo quanto s’è detto circa l’intimità esistente tra Cristo Sommo Sacerdote e la Vergine Santissima risulta alquanto difficile stendere un capitolo per farne l’applicazione alle relazioni intercorrenti tra il Sacerdote e Maria.
Se Gesù si è degnato aver bisogno di lei per essere assistito nell’atto principale del suo Sacerdozio, cosa dovremo dire della necessità della presenza di Maria nella vita intima del suo Sacerdote? La Madre Claret de la Touche l’aveva ben compreso: “II Sacerdote — ella scrive — è un altro Gesù; quello che Maria era per il suo Gesù lo è anche per il Sacerdote” (CLARET DE LA TOUCHE, L.M., Il Sacro Cuore e il Sacerdozio, Torino, Marietti, 1943).
Se c’è una verità che in S. Tommaso regge tutto il trattato del Sacramento dell’Ordine è questa: il Sacerdote riceve il Sacerdozio prima di tutto per celebrare la Santa Messa. «Il Sacramento dell’Ordine è ordinato al Sacramento dell’Eucaristia» (THOMAS AQUINAS, S., Suppl., Q. 37, a.2).
“Il Sacerdote esercita due azioni: l’una, principale, riguarda il corpo vero di Cristo; l’altra, dipendente dalla prima, concerne il suo Corpo Mistico” (Ibid., Q., 36, a. 2).
Tutto il potere che abbiamo sul Corpo Mistico ci è, dunque, accordato per disporre le anime a ben ricevere l’Eucaristia e a ben unirsi a Cristo nella Messa.
Non è forse per riprodurre e continuare la Cena che Gesù ordinò Sacerdoti i suoi Apostoli, come ci insegna il Concilio di Trento in quel testo magnifico che abbiamo spesso meditato nei nostri ritiri fin dal Seminario?
“Nostro Dio e Signore, benché per operare l’eterna redenzione dovesse, con la morte, offrire se stesso ai Padre una volta sola sull’ara della croce: siccome suo sacerdozio non doveva estinguersi con la sua morte (Hebr. VII. 24-27), nell’ultima cena, nella notte in cui veniva tradito, volendo lasciare alla diletta sua sposa, la Chiesa, un sacrificio visibile — come la natura esige — che rappresentasse quel sacrificio cruento da offrirsi una volta sola sulla croce, ne perpetuasse nei secoli il ricordo e ne applicasse la virtù salvifica in remissione dei peccati che quotidianamente commettiamo: dichiarandoci costituito sacerdote secondo l’ordine di Melchisedech, offrì a Dio Padre suo, sotto la specie del pane e del vino, il suo corpo e il suo sangue e sotto le stesse specie lo diede agli Apostoli che in quel momento appunto costituì sacerdoti del Nuovo Testamento perché ne prendessero, e ad essi e ai loro successori nel sacerdozio comandò di offrirli, con queste parole: “Fate questo in memoria di me” (Concilio di Trento, Sess., XXII, c. 1 – Denz., 938. Cfr. THOMAS AQUINAS, S., Summa contra Gent., IV, 74).
Noi, dunque siamo Sacerdoti prima di tutto per offrire il Sacrificio della Messa, al modo stesso che Cristo e Sacerdote per offrire il Sacrificio della Croce. Gesù s’è fatto Sacerdote, s’è incarnato per la nostra Redenzione, e per la nostra Redenzione ottenuta attraverso l’offerta della sua vita sul Calvario. Nell’economia della nostra salvezza, il nostro Sacerdozio e la nostra Messa, stanno come il Sacerdozio di Cristo e il suo unico Sacrificio.
Di più, non e solo un parallelismo esistente fra lui e noi, è un legame attuale che ci unisce al suo Sacerdozio e al suo Sacrificio. Il Sacrificio della Messa, infatti, non è altro che il Sacrificio della Croce riprodotto sull’altare. Dice ancora il Concilio di Trento: “Una sola e identica è l’Ostia, identica è la persona che si offre ora attraverso il ministero del Sacerdote, come si offrì allora sulla Croce; il solo modo dell’offerta è differente” (Concilio di Trento, Sess., XXII, c. 1 – Denz., 940).
La Messa riproduce sacramentalmente il sacrificio del Calvario. E’ il Sacramento del Sacrificio redentivo, la Passione rappresentata, repraesentata, vale a dire resa di nuovo presente, presentata di nuovo al Padre in favore degli uomini e ripresentata realmente, benché in modo mistico, per noi che viviamo adesso.
Stamane nella Messa, dinanzi a noi non abbiamo avuto meno di quanto ebbe S. Giovanni il Venerdì Santo. E questo sacrificio della Croce è reso presente e ripresentato ai Padre per mezzo nostro. Noi siamo gli strumenti attraverso i quali Cristo perpetua, quanto alla sostanza, il Sacrificio della Croce sotto forma sacramentale, atto che in noi rinnova egli stesso dall’alto dei cieli. Egli si serve delle nostre labbra e, ancor più, della nostra anima o —per parlare con tutta precisione teologica — della nostra intelligenza nella sua funzione pratica, per rinnovare l’atto essenziale del suo sacerdozio. “Questo è il mio Corpo, questo è il mio Sangue”, dice egli stesso in noi, quantunque siamo noi a pronunziare tali parole e a pensare all’atto che compiamo.
Come insegna S. Tommaso: “E’ Lui il vero Sacerdote offertosi sull’altare della Croce, in virtù del quale si consacra ogni giorno il suo Corpo sull’altare” (“Ipse est verus sacerdos qui se obtulit in ara crucis, et cuius virtute corpus eius in altari quotidie consecratur” THOMAS AQUINAS, S., Contra Gent., IV, 76).
Noi non diciamo: “Questo è il Corpo di Cristo”, ma: “Questo è il mio Corpo” e tuttavia non abbiamo intenzione alcuna di pensare che quel corpo sia il nostro. No, in quel momento le persone sono due benché una sola l’azione, quella di Gesù Sommo Sacerdote che si serve del suo strumento amatissimo. Noi agiamo veramente — come dice S. Tommaso — in persona Christi (THOMAS AQUINAS, S., Summa Theol., IlI, Q. 82, a. 1); noi siamo “l’immagine di Cristo”.
Tale è il “mistero di fede” che noi rinnoviamo ogni giorno.
Cerchiamo perciò di comprendere a quale intimità con Nostro Signore ci induca, al fine di intendere meglio, in seguito, l’unione che ci è riservata con la Santissima Vergine.
Il Sacerdote non è solo uno strumento, un servo, è anche un amico di Gesù. E’ uno strumento vivente di Cristo Sacerdote. Abbiamo visto più innanzi che la grazia sacerdotale infonde nei nostro cuore una carità che ci unisce in modo ineffabile a nostro Signore nell’atto preciso della nostra vita sacerdotale. Ora lo comprendiamo meglio.
Dicevamo poc’anzi che, al momento della consacrazione, in noi sono realmente due persone, quella di Cristo che consacra e la nostra. Perché non dire anche che, grazie alla carità, vi sono in noi due cuori, il Cuore Sacerdotale di Gesù che si offre al Padre per la salvezza del mondo e, in particolare, per le anime ad intenzione delle quali si celebra la Messa e il nostro cuore ricolmo di grazia sacerdotale e dell’amore di Dio e delle anime? E, al modo stesso che sull’altare le due persone non compiono che un identica azione sacerdotale, anche i due cuori si identificano per l’amore, perché è il medesimo Amore Infinito che ispira loro tale azione.
Siamo nel punto focale della nostra vita sacerdotale. E’ il momento della nostra giornata in cui comunichiamo col Cuore di Cristo in una maniera singolarissima. Senza dubbio, vi sono dei Santi laici e delle Sante che hanno amato e compreso Cristo più che dei Sacerdoti canonizzati: ma, a parità di grado di carità, chi è Sacerdote è più unito a Nostro Signore di colui che non lo è, in forza del carattere, che gli dà il potere di riprodurre l’atto sacerdotale di Gesù Crocifisso e per la grazia sacramentale, che lo fa comunicare con Cristo nell’atto stesso del suo Sacerdozio.
Gesù si è offerto una volta sul Calvario, ma allora Sacerdote era lui solo; la Vergine Santissima là vicino a lui, v’era solo come Madre e Sposa. Oggi, quando egli si offre sull’altare, lo fa servendosi di un povero uomo come noi, ci assume in lui, o piuttosto, viene in noi e depone nel nostro cuore, — ma secondo il grado della nostra carità, ahimè spesso così debole! — tutti i sentimenti che, sulla Croce, egli aveva per il Padre, per la Santissima Vergine, e per le anime, tutti i sentimenti ancora che egli in questo momento ha in cielo per le anime, ad intenzione delle quali viene celebrata questa Messa.
E’ davvero un’amicizia, quella che allora egli stabilisce in noi. una unità totale, una koinonia, una comunanza di tutti i più intimi segreti del suo Cuore: Omnia mea tua sunt. omnia tua mea sunt (Jo., XVII, 10).
In una delle questioni della Somma che consacra all’amore, S. Tommaso apre delle visioni insondabili circa la mutua compenetrazione dei cuori e degli animi che si realizza tra gli amici: “La persona amata si trova in colui che ama, in quanto l’amato permane nel pensiero dell’amico… d’altra parte, colui che ama si trova col pensiero nell’amico, in quanto l’amante non si contenta di una conoscenza superficiale dell’amico, ma cerca di conoscere a fondo e nei dettagli ciò che Io riguarda: penetra cosi nel suo intimo, come, per esempio, dello Spirito Santo, che è l’Amore di Dio, si dice che " scruta la profondità di Dio” (I Cor., II, 10).
“Nell’amore di amicizia l’amante è nell’amato in quanto ritiene come propri il bene o il male dell’amico ai pari della di luì volontà, quasi che, nell’amico, egli stesso goda del suo bene e soffra del suo male. Per ciò è proprio degli amici avere un sol volere e rattristarsi o gioire per una stessa cosa… di modo che, in quanto colui che ama stima come proprie le cose dell’amico, sembra essere nell’amico, quasi a lui identificato: in quanto, poi, vuole e agisce per l’amico come per se stesso — quasi ritenendolo una stessa cosa con sé — così la persona amata è in colui che ama” (“Amatum dicitur esse in amante, in quantum amatum immoratur in apprehensioneamantis… Amans vero dicitur esse in amato secundum apprehensionem, in quantum amans non est contentus superficiali apprehensione amati, sed nititur singula quae ad amatum pertinent intrinsecus disquirere; et sic ad interiora eius ingreditur: sicut de Spiritu Sancto, qui est Amor Dei, dicitur quod “scrutatoretia profunda Dei” (I Cor., II, 10)… In amore amicitiae, amans dicitur in amato, in quantum reputat bona vel mala amici sicut sua et voluntatem amici sicut suam, ut quasi ipse in suo amico cideatur bona vel mala pati ed affici. Et propter hoc, proprium est amicorum idem velle et in eodem tristari et gaudere secundum Philosophum ut sic, in quantum quae sunt amici aestimat sua, amans videatur esse in amato, quasi idem factus amato: in quantum autem e converso vult et agit propter ami***** idem sibi, sic amatum in amante.” THOMAS AQUINAS, S., Summa Theol., I-II, q. 28, a. 2).