Penitenza di Gesù – Vittima di espiazione
P. SILVIO MARIA GIRAUD
MISSIONARIO DELLA SALETTE
SACERDOTE E OSTIA
CAPITOLO DICIOTTESIMO. Penitenza di Gesù – Vittima di espiazione
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La Penitenza è quella virtù che ci fa odiare il peccato commesso, in quanto è offesa di Dio. Ci porta pure a dare soddisfazione a questo Dio di amore con ogni sorta di espiazioni, e ci induce al fermo proposito di non più peccare in avvenire.
Intesa così in tutta la sua estensione, la Penitenza evidentemente non può convenire che a creature personalmente peccatrici, e non a Colui che è «il Santo». Ma, considerata in quella disposizione particolare che porta a voler dare a Dio soddisfazione per le offese che gli vengono fatte, non solo conviene a GESÙ CRISTO, ma trovasi in Lui più che in qualsiasi creatura, poiché Egli è l’«Agnello, la Vittima che porta i peccati del mondo», li porta per espiarli e in tal modo offrire a Dio la perfetta soddisfazione che gli è dovuta.
Le sue umiliazioni hanno espiato la nostra superbia: la sua Penitenza ha espiato la nostra sensualità. Si potrebbe dire, infatti, che il peccato ha due sorgenti: l’una nello spirito, la superbia; l’altra nella carne e in quella parte dell’anima che la Scrittura chiama carne (Gn 4, 3; Gal 5, 17), la sensualità. E, per verità, se vogliamo portarci all’origine della nostra concupiscenza, ossia alla caduta del nostro primo padre, vedremo nella sua colpa questi due principali caratteri: la superbia: «Voi sarete come Dei»; la sensualità: «La donna vide che il frutto era buono a mangiare e gradevole all’aspetto».
La Penitenza ha due aspetti: la privazione e l’afflizione. Come privazione, essa chiama in aiuto la povertà, e la unisce a se stessa, per compiere l’opera di riparazione che deve fare; come afflizione, essa diventa l’amore al patire. In tal modo, l’anima penitente è sempre veramente povera, e si compiace nel patire.
GESÙ, Vittima espiatoria, fu per eccellenza il Povero e l’Uomo di dolore.
I. – La povertà di GESÙ. – Era stata sovente annunciata dai Profeti (Zc 9, 9). Il Vangelo l’attesta con frequenza: Pannis eum involvit: quia non erat eis locus in diversorio… Et hoc vobis signum: Invenietis infantem pannis involutum… Ut darent hiostiam… par turturum, aut duos pullos columbarum… Filius hominis non habet ubi caput reclinet… Accepto corpore, Ioseph, posuit illud in monumento suo… (143). La povertà del nostro Dio è un mistero dell’intera sua vita, dall’indigenza del presepio sino alla nudità della croce. Ma essa trionfa sopratutto nei giorni della sua santa Infanzia, e in particolar modo a Betlemme. Povertà universale, penosa, abietta: tutti questi caratteri vi si trovano riuniti. Sono noti i trasporti di gioia e di amore, di compassione e di tristezza, che tale delizioso e commovente mistero eccitava nel Poverello di Assisi. Tutti i santi, per altro, hanno sentito una irresistibile attrattiva per tanta indigenza e tali privazioni.
Quale fu la causa della povertà di GESÙ? Dapprima l’amore della nostra Redenzione. Occorreva espiare il nostro attacco disordinato e peccaminoso ai beni della terra; era necessario, con un esempio splendente, insegnarci a disprezzare questi beni terreni, che in se medesimi non sono che vanità e afflizione di spirito. Bisognava, inoltre, meritarci le ricchezze della grazia e della eterna gloria. Ce lo insegna san Paolo: «Vi è nota, dice, la grazia del Signor nostro GESÙ CRISTO, il quale, essendo ricco, si è fatto povero per voi, affinché foste arricchiti dalla sua povertà» (2 Cor 8, 9).
Ma vi sono altre cause altrettanto intime, anzi forse più intime ancora. GESÙ Vittima non poteva essere ricco: Essendo Egli, davanti alla Maestà del Padre suo, Vittima di adorazione, di lode e di congratulazione, – quella Bellezza eterna che lo ispirava, e che Egli adorava, contemplava e lodava, quel Bene che è «tutto il bene» -come Dio medesimo chiama se stesso (Es 33, 18-19), occupava il suo spirito, il suo cuore, tutto il suo essere in modo così assoluto, ch’Egli non poteva badare a «quella frivolezza» che è la vita presente; questo è evidente (Sap 4, 2). Tuttavia, se fosse stato soltanto Vittima di adorazione e di lode, si può pensare che avrebbe dovuto possedere tutti i beni esteriori di questo mondo; li avrebbe posseduti quale Padrone sovrano nella qualità di Creatore; ne avrebbe goduto come Re del creato, nella sua qualità di Uomo Dio. Non ebbe forse il primo Adamo questo possesso e questo godimento? Ma, perché il primo Adamo aveva meritato di perdere tutto, tanto nell’ordine della grazia come in quello della natura, appunto per questo il secondo Adamo che veniva a riparare tutto con la soddisfazione prestata a Dio offeso, doveva rimanere privo di ogni bene temporale. Vittima costituita al posto di tutti i pescatori, Egli doveva subire il castigo meritato dai peccatori. Questo castigo consisteva dapprima nella più estrema povertà. Il peccatore aveva disprezzato il Bene supremo, col separarsene per darsi al peccato; aveva rifiutato i beni della grazia e della amicizia divina per portarsi verso la creatura e verso se medesimo; doveva perciò essere punito con la privazione universale di tutti i beni temporali. «I demoni, dice san Gregorio, non possiedono nulla in questo mondo» (144). La povertà dei dannati è orribile; non si può immaginare una miseria sì spaventosa, e il peccatore, se non è dannato di fatto, lo è già di diritto, e dovrebbe già essere confinato «in quella terra di miseria» (Gb 10, 22).
GESÙ essendo «quel santo caritatevole, quel misericordioso delinquente» che si è messo al posto di tutti i peccatori, ha dovuto quindi essere privo di tutto in questo mondo, «nascere nella stalla dove si ricoverano gli animali, vivere senza aver un luogo dove riposare il suo capo, morire spoglio di tutto, e venir sepolto in una tomba che non era sua» (145).
In GESÙ CRISTO, nulla è solamente sublime o eroico, tutto è divino. La sua povertà è degna di un Dio fatto uomo; di un Dio che capisce quali sono i beni veraci; di un Dio che vuole meritare agli uomini questi veri beni, liberandoli dalla schiavitù alla quale li ha ridotti l’amore dei beni perituri e fallaci; di un Dio che vuole dare al Padre suo, con una tal indigenza, una soddisfazione che copra il disordine dell’ambizione e della cupidigia delle sue creature. (altro…)