L’umiltà speciale del sacerdote
P. SILVIO MARIA GIRAUD
MISSIONARIO DELLA SALETTE
SACERDOTE E OSTIA
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LIBRO TERZO
LE VIRTU' SACERDOTALI
L'UNIONE A GESÙ CRISTO
CAPITOLO NONO. L'UMILTÀ SPECIALE DEL SACERDOTE
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Per il Sacerdote vi sono specialissime ragioni di essere umile e profondamente umile.
I. La sua qualità di Sacrificatore. – In questa qualità, il Prete è veramente un uomo annientato. All'altare, il Sacerdote pronuncia bensì le parole sacramentali della consacrazione; ma chi fa tutto, è GESÙ CRISTO. Il Sacerdote è presente, ha l'intenzione formale di essere ministro del Sacrificio e di usare del potere conferitogli dalla Ordinazione. Ma GESÙ CRISTO solamente, può appropriarsi le parole della Consacrazione: ogni altra persona che le applicasse a sé, direbbe una bugia. Che cos'è dunque diventato il Sacerdote? Sembra che si operi pure in lui quanto, con un miracolo, avviene del pane e del vino. La sostanza della materia del Sacrificio sparisce: ne rimangono solo le apparenze. Così pure, in un certo senso pieno di mistero, la persona dei Prete sparisce al momento della consacrazione, e non ne rimane che un'apparenza. Compiuto il Mistero, fatta la Consacrazione, l'umile Ministro ritorna ad essere ciò che era prima e lo si riconosce dalle parole di supplicazione che pronuncia; ma in quel momento senza pari della consacrazione, solo GESÙ CRISTO è veramente Sacerdote, GESÙ CRISTO, per parlate come i Padri, ha invaso il suo Ministro, ed Egli sola opera (502).
Abbiamo dunque ragione di dire che, in qualità di Sacrificatore, il Sacerdote è un uomo annientato. Ma vi è qui un segreto profondo, nel quale dobbiamo penetrare. Se Nostro Signore compie un tal mistero, non può essere senza qualche grande motivo. Non invade il suo Sacerdote, rendendolo in modo così ammirabile un altro se stesso, senza voler che questa grazia sia duratura. Lo stato ministeriale non può permanere; perché, riguardo al Sacrificio, tutto è compiuto quando è pronunciata l'ultima delle parole sacramentali; e dopo quel momento solenne, il Prete ritorna ad essere lui stesso. Qualche cosa tuttavia rimane: ciò che si è operato dentro di lui, la presa di possesso da parte di GESÙ CRISTO, la vita di questo adorabile Sacrificatore, le sue disposizioni, il suo spirito, le sue virtù; ecco ciò che non passa, se quella benedizione che GESÙ apporta, viene ricevuta con amore e se non vi sono ostacoli ai suoi effetti. Solo GESÙ sta e permane. È dunque vero che il Sacerdote non è più lui medesimo: GESÙ è davvero tutto in lui. «Non sono più io che vivo, GESÙ vive in me». Ma che cosa è mai un tale stato beato? Non è forse esso la vera umiltà? Questa, infatti, nella sua essenza, consiste nella dimenticanza della propria persona; è l'evacuazione dell'io, la morte perfetta a tutto quanto è spirito proprio, all'amor proprio, alla volontà propria, alla vita propria naturale; è il ripudio di tutto l'uomo vecchio, il seppellimento di qualsiasi cupidigia, e infine, per dir tutto in una parola, l'annientamento mistico di tutto l'essere umano, affinché, in questo vuoto, in questa morte, in questo nulla, Dio che si compiace sempre di lavorare sul nulla, possa, a tutto suo bell'agio, pienamente e assolutamente, operare in noi, con la grazia di GESÙ CRISTO.
Il venerato abate Olier, ha scritto pagine ammirabili in proposito; accogliamo con semplicità un insegnamento che pare ispirato dallo Spirito Santo, e piaccia a questo Spirito di verità di farcene intendere tutto il senso!
«Siccome lo stato di GESÙ CRISTO Ostia nel Santo Sacramento, è uno stato che deve servire di modello ai Sacerdoti, coloro i quali saranno chiamati al Sacerdozio, devono, secondo l'avviso che dà loro il Vescovo nell'ordinazione (Imitamini quod tractatis), avere gran cura di mantenersi nelle necessarie disposizioni per essere, col divino Salvatore, altrettante Ostie consumate alla gloria di Dio.
«Perciò, essi saranno morti ad ogni cosa esteriore del mondo, non ne sentiranno più alcuna impressione, come se fossero morti e seppelliti, limitando Nostro Signore nel SS. Sacramento, che, nascosto sotto la specie, rimane insensibile agli onori, ai beni e ai piaceri della terra (503).
«Saranno morti agli usi del secolo e ai costumi del mondo; non ne seguiranno le mode, e fuggiranno tutto ciò che potrà essere conforme al suo spirito; perché morti a questo spirito ed alla generazione del primo Adamo, non devono dare alcun segno di vivere secondo quel primiero stato.
«Saranno inoltre morti a se stessi, non mostrando sollecitudini perciò che li riguarda, come se non esistessero, poiché debbono essere consumati in GESÙ CRISTO, che li farà vivere unicamente per Dio. Sopporteranno in silenzio di essere calpestati, oppressi e persino battuti, a somiglianza delle specie del pane e del vino, che in tal modo sono state trattate per essere ridotte nello stato di poter contenere, sotto la loro apparenza, il corpo di Nostro Signore; anzi la loro sostanza viene distrutta per convertirsi nell'adorabile corpo di GESÙ CRISTO.
«Saranno quindi, i Sacerdoti, contentissimi nell'essere trattati in tal guisa; e non avranno desideri più ardenti che di essere provati con le mortificazioni, gli oltraggi e le persecuzioni (504); e così ottenere che lo Spirito di Nostro Signore annienti, nel loro interiore, tutto quanto v'ha di umano, onde li faccia vivere della sua propria vita e li renda Ostie accettevoli, morte nei sensi esteriori e viventi per Dio nell'interiore.
«Non dovranno desiderare di essere amati, né stimati, poiché non devono aver cosa alcuna cui altri possa attaccarsi. Se scorgeranno alcuna stima della loro persona, dovranno umiliarsi, e confondersi davanti a Dio di aver ancora in sé qualcosa di vivente, che sia degno di affezione e di stima; bisogna sentire con gran pena che si porti affezione e stima a qualche cosa che non sia Dio.
«Se poi ravviseranno di essere stimati per i doni di Dio e non per la loro persona, avranno gran cura di adorar Dio per i suoi doni, e di chiedergli che l'onore ne sia dato a Lui solo, e che non tolleri che la creatura partecipi menomamente alla riconoscenza ed agli omaggi che a Lui unicamente sono dovuti (505). «Bisogna inoltre che i Sacerdoti siano talmente annientati in se medesimi, che, nel servire a Dio, non pensino… che alla sua maggior gloria, unico fine che debbono aver in vista. Non dovranno aver riguardo al proprio interesse di nessuna sorta, perché, essendo consumati in Dio con GESÙ CRISTO, non hanno più nulla che loro appartenga, e, in se medesimi, non sono più nulla. Nel Sacerdote non deve essere nessun io, perché l'io del Sacerdote deve essere convertito in GESÙ CRISTO che gli fa dire all'altare: «Questo è il mio Corpo», come se il corpo di GESÙ CRISTO fosse il corpo medesimo del Sacerdote» (506).